Intelligenza Emotiva nelle Relazioni

All’interno delle varie tipologie di intelligenza, ce n’è una che è direttamente collegata alla nostra capacità di adattarci al mondo che cambia, di essere flessibili e di sapersi gestire all’interno delle difficoltà, ed è quella che viene definita intelligenza emotiva.

L’individuo del nuovo millennio, che tra le sue principali attività svolge quella di gestore delle emozioni proprie e altrui (se sei un genitore, un professionista, uno sportivo, se hai rapporti quotidiani con clienti, collaboratori, soci, non passi forse buona parte della tua giornata a rapportarti con l’emotività altrui, cosa che richiede in automatico di doversi confrontare costantemente con la propria?), deve necessariamente sviluppare il più possibile la sua intelligenza emotiva, se vuole influenzare più e meglio se stesso e l’ambiente in cui si muove.

In questa guida scoprirai cos’è l’intelligenza emotiva, perché è così collegata al tema della leadership e in quale modo potrai sviluppare l’intelligenza emotiva per diventare “emotivamente intelligente”.

Ecco l’indice delle guida:

COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA?

La tecnologia ci rende più intelligenti
Responsabili del nostro stato emotivo
L’intelligenza più importante è quella emotiva
Intelligenza emotiva per essere leader di noi stessi

IL QUOZIENTE EMOTIVO

Analfabeti emozionali
Nove tipi di intelligenze
Emozioni, sentimenti e stati d’animo

LE 4 DIMENSIONI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Consapevolezza di sé
Gestione di sé
Consapevolezza degli altri
Gestione delle relazioni interpersonali

 

COS’È L’INTELLIGENZA EMOTIVA

Oggi ci sono auto, case, smartphone, dispositivi di ogni genere detti “intelligenti” perché sono in grado di riprodurre alcuni processi del pensiero umano. Non solo, spesso questi dispositivi amplificano e rendono più efficienti i nostri processi di pensiero. Quante volte, per esempio, ci capita di usare il nostro smartphone per cercare l’indirizzo di un ristorante, una ricetta di cucina, il nome del protagonista di un film… Grazie a internet attualmente possiamo accedere a una quantità di informazioni che accelerano i nostri processi di pensiero, aumentando la capacità di formulare giudizi e risolvere problemi.

E se hai un problema, da quello più complesso che riguarda il lavoro o la sfera privata a quello più semplice di vita quotidiana, basta cercare su Google e trovi una serie di possibili risposte. Possiamo dunque dire che il progresso tecnologico ci ha reso “più intelligenti” o smart, se vogliamo usare un termine inglese, ormai di uso comune, che esprime anche il senso dell’accelerazione impressa ai nostri processi di pensiero dalle nuove tecnologie.

 

LA TECNOLOGIA CI RENDE PIÙ INTELLIGENTI

Ma se è vero che il progresso tecnologico ha aumentato il nostro livello d’intelligenza, è altrettanto vero che non ha contribuito a migliorare il nostro stato di benessere. Secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nell’anno 2020 la depressione è stata la seconda causa di malattia, dopo le patologie cardiovascolari, in tutto il mondo, Italia compresa.

Solo nel nostro Paese almeno 1,5 milioni di persone soffrono di disagio emotivo di vario genere.
Il che dimostra che al progresso tecnologico non è corrisposto un adeguato progresso di tipo emotivo. Per quanto sia tecnologicamente evoluta e informata, la maggior parte degli esseri umani è ancora un “analfabeta emozionale”. Se, infatti, è cresciuta la capacità di trovare, incamerare ed elaborare informazioni dal mondo esterno, non è cresciuta parallelamente la capacità di capire e gestire ciò che accade nel mondo emotivo.

 

RESPONSABILI DEL NOSTRO STATO EMOTIVO

Per la maggior parte delle persone le emozioni restano ancora un mistero, qualcosa di assolutamente fuori dal controllo. Probabilmente ti sarà capitato di sentire o di pronunciare frasi di questo tipo:

– «Non so cosa mi è successo, ero fuori di me quando ho agito in quel modo».
– «Cosa ci posso fare? Sono un tipo emotivo».
– «Ogni volta che devo incontrare quella persona o devo fare quella cosa mi assale lo sconforto».
– «L’ansia mi assale».
– «Sono sotto stress».
– «Mi è venuta la depressione».

Come se le emozioni fossero forze oscure che hanno il potere di impossessarsi di noi e guidare il nostro comportamento indipendentemente dal nostro volere. In realtà non è così. Grazie ad alcuni studiosi, primo tra tutti Daniel Goleman, oggi conosciamo i meccanismi che regolano le nostre emozioni e proprio per questo siamo potenzialmente in grado di governarli. Dico potenzialmente perché tra il sapere e il fare, come vedremo, c’è una bella differenza.

 

L’INTELLIGENZA PIÙ IMPORTANTE È QUELLA EMOTIVA

Quel che è certo, però, è che noi siamo responsabili del nostro stato emotivo. Abbiamo il potere di gestire le nostre emozioni. Possiamo uscire da stati “emozionali negativi” nel momento in cui diventano un ostacolo. Sapere come funzionano le nostre emozioni, riconoscerle e gestirle per evitare che prendano il sopravvento, inducendoci magari a compiere azioni di cui possiamo pentirci, può essere considerata un’altra forma di intelligenza che viene appunto definita emotiva.

Certo, l’accostamento di parole come intelligenza ed emotività suona un po’ strano. Nella letteratura italiana l’accostamento di due parole di senso contrario o in forte antitesi viene detta ossimoro. E, a pensarci bene, la formula intelligenza emotiva sembra proprio un ossimoro perché accosta due parole che fanno riferimento a sfere che siamo soliti considerare un po’ come il giorno e la notte: la sfera della razionalità e del pensiero e la sfera delle emozioni.

Ciò dipende dal fatto che siamo abituati a considerare l’intelligenza in modo univoco come quella “facoltà, propria della mente umana, di intendere, pensare, elaborare giudizi e soluzioni in base ai dati dell’esperienza anche solo intellettuale”. In realtà, esistono diversi tipi di intelligenza tra i quali la più importante è quella emotiva. A essere precisi l’intelligenza emotiva non consiste solo nella capacità di conoscere e gestire le proprie emozioni ma anche nella capacità di riconoscere le emozioni altrui e di creare con loro relazioni positive. E nelle relazioni c’è sempre uno scambio di emozioni, anzi, c’è soprattutto quello. Se ci pensi bene, la comunicazione tra due o più individui è più uno scambio di emozioni che di informazioni.

Del resto, come diceva Aristotele, siamo animali sociali.

 

INTELLIGENZA EMOTIVA PER ESSERE LEADER DI NOI STESSI

La qualità della nostra vita dipende in buona misura dalla qualità delle relazioni che abbiamo con gli altri membri del sistema a cui apparteniamo. Paradossalmente, proprio nell’era della comunicazione, nell’era in cui disponiamo di strumenti che facilitano e accelerano scambi di informazioni, ci sono sempre più persone che hanno problemi relazionali.

L’abitudine a comunicare per mezzo di dispositivi e macchine ci sta facendo perdere la percezione dell’altro, ci sta facendo perdere la capacità di percepire le sue emozioni e anche di influenzarle in modo positivo. Anche questo è un sintomo dell’analfabetismo emotivo dilagante, che sta alla base del malessere della nostra epoca. Se vogliamo migliorare veramente la qualità della nostra vita non basta dunque essere più informati o tecnologicamente evoluti, dobbiamo essere emotivamente intelligenti.

L’intelligenza razionale ci ha permesso di essere padroni dell’universo, ma solo l’intelligenza emotiva ci permette di essere Leader di noi stessi. In questa guida parleremo degli studi di Daniel Goleman che, sebbene non sia il padre dell’intelligenza emotiva, ne è il suo massimo divulgatore ed è, soprattutto, colui che l’ha applicata anche al contesto organizzativo e alla leadership.

Perché non è mai troppo tardi per diventare “emotivamente intelligenti”!

 

IL QUOZIENTE EMOTIVO

Il più grande divulgatore del concetto di intelligenza emotiva è lo psicologo Daniel Goleman, che, dal 1995, tramite i suoi libri e i suoi studi, ha costretto a riconsiderare la tradizionale concezione che dava valore quasi esclusivamente alle sole capacità umane legate al Quoziente Intellettivo (QI), affermando che spesso il successo nella vita è legato molto più ad altre variabili, soprattutto quelle emotive.

In particolare, si ritiene oggi il quoziente d’intelligenza emotiva (QE) molto più importante del QI, soprattutto per chi riveste ruoli di leadership, tanto da considerarla in assoluto una delle principali caratteristiche del leader moderno. Guidare gli altri, oggi, non richiede infatti enormi dosi di flessibilità, empatia, capacità di gestire lo stress e, più in generale, l’emotività propria e altrui? E se l’obiettivo è diventare sempre più leader di se stessi, non dobbiamo forse mettere in gioco le stesse capacità? Per fare ciò, però, ci vuole coraggio, consapevolezza di sé e il desiderio di lavorare su se stessi per diventare un leader.

Chi non fa questo, non solo non sviluppa la propria intelligenza emotiva, ma si ritrova inevitabilmente nella condizione opposta. A essere quello che può di diritto essere definito un “analfabeta emozionale”, categoria purtroppo di cui siamo circondati! Persone del tutto inconsapevoli di come le proprie e le altrui emozioni influenzino se stessi e il mondo che li circonda e, ancor di più, completamente all’oscuro di come possano a loro volta essere indirizzate e gestite.

Insomma, le persone dotate di un elevato QE hanno, in questo nuovo mondo, un vantaggio competitivo enorme, oltre a una facilità di vivere la vita e adattarsi ai cambiamenti, trasformandoli in opportunità, estremamente superiore alla media. Per questo, vale davvero la pena di lavorarci sopra, anche perché l’intelligenza emotiva comprende competenze che non sono innate, ma che possono essere acquisite e migliorate giorno dopo giorno.

 

ANALFABETI EMOZIONALI

Nel 1995 Goleman ha pubblicato un best seller psicologico dal titolo “Emotional Intelligence”, tradotto in italiano nel 1997 con il titolo “Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici”. Nella prefazione italiana si legge: «Ho scritto Emotional Intelligence in un momento in cui la società civile americana si dibatteva in una crisi profonda, caratterizzata da un netto aumento del fenomeno dei crimini violenti, dei suicidi e dell’abuso di droghe, come pure altri indicatori di malessere emozionale, soprattutto tra i giovani».

Basta anche solo guardarsi intorno o fare un salto sui social network per rendersi conto di quanto il malessere sia diffuso. Su Facebook, in particolare, si trovano costantemente persone che si esprimono con una violenza verbale pazzesca: gente che augura a personaggi famosi (e non) di morire o che arriva addirittura a minacciare fisicamente chi semplicemente esprime un’opinione diversa dalla propria. La cosa strana è che non si tratta di individui che vivono ai margini della società. C’è lo studente universitario, l’agente di commercio, il musicista… Persone “normali” che – tra una foto di famiglia, un aforisma e un video divertente – si lasciano andare a manifestazioni di rabbia inaudite. Persone con un’intelligenza nella norma ma… emotivamente ottuse.

Il consiglio di Goleman per guarire da questi mali sociali è quello di «prestare una maggiore attenzione alla competenza sociale ed emozionale dei nostri figli e di coltivare con grande impegno queste abilità del cuore». Con il termine abilità del cuore si riferisce proprio all’intelligenza emotiva che definisce come «la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli altrui, di motivare se stessi e di gestire le emozioni internamente e con le persone con cui ci relazioniamo».

Queste sono le abilità da coltivare e sviluppare maggiormente non solo nelle nuove generazioni.
Tutti noi dovremmo diventare emotivamente più intelligenti perché alla fine il vero successo dipende soprattutto da questa dimensione dell’intelligenza.

 

NOVE TIPI DI INTELLIGENZE

In principio era il QI (Quoziente Intellettivo), termine coniato nel 1912 dallo psicologo tedesco William Stern, che lo definì come il risultato della formula:

età mentale / età biologica X 100 mentale

Per molti anni a partire dalla Prima guerra mondiale, quando due milioni di americani vennero classificati usando la prima versione del test, il calcolo del QI ha rappresentato la formula capace di prevedere il successo di una persona. Ma negli anni questo potere quasi magico è stato più volte messo in dubbio dal fatto che ci sono state più eccezioni che casi a conferma della regola.

Possedere un alto quoziente intellettivo è uno dei fattori che contribuiscono al successo di una persona, ma non è quello principale (secondo Goleman infatti conta solo per il 20%). E ciò soprattutto perché il vecchio concetto di intelligenza, su cui si basano i test per misurare il QI, non è in grado di esprimere la ricchezza dell’essere umano.

Lo diceva già nel 1990 Edward Gardner, il teorico delle intelligenze multiple. Secondo Gardner non esiste una facoltà comune di intelligenza che possa essere misurata con un numero come fa il QI. Non esiste una sola forma di intelligenza, ma tante forme e precisamente:

1. intelligenza logico-matematica
2. intelligenza verbale-linguistica
3. intelligenza spaziale
4. intelligenza musicale
5. intelligenza cinestetica o corporea
6. intelligenza naturalistica
7. intelligenza filosofico-esistenziale
8. intelligenza intrapersonale
9. intelligenza interpersonale

Ogni persona ha quindi almeno nove tipi di intelligenze, che utilizza in momenti diversi. Così come ci sono persone che hanno sviluppato tutti i diversi tipi di intelligenza, ce ne sono altre, invece, che sviluppano maggiormente e in maniera specifica un particolare tipo di intelligenza.

Purtroppo i programmi scolastici si focalizzano solo sui primi due, al massimo tre, tipi di intelligenza, mentre si dà poco spazio nella scuola per lo sviluppo delle intelligenze di tipo intra-personale e interpersonale, ossia l’abilità di capire se stessi, quello che si sente e ciò che si vuole e la capacità di percepire i sentimenti e le motivazioni delle altre persone. Queste due sono in particolare le tipologie di intelligenza che rientrano nel modello elaborato da Goleman e dagli studiosi che l’hanno preceduto.

Il motivo per cui, nonostante il livello di scolarizzazione, le persone continuino a cadere in balia delle emozioni sta nel fatto che purtroppo a scuola ci insegnano a leggere, studiare (che spesso equivale a nient’altro che immagazzinare dati e informazioni) e far di conto, ma non ci insegnano l’alfabeto delle emozioni.

Non ci insegnano a riconoscere le nostre emozioni e a sfruttare a nostro vantaggio il loro potere anziché farci sopraffare da esse. La capacità di gestire le emozioni viene così lasciata sviluppare, quando va bene, dall’esperienza di vita. È infatti abbastanza diffusa la credenza che con il passare degli anni le persone diventino più sagge e quindi capaci di tenere a bada i propri impulsi. Niente di più falso.

Nella mia esperienza di formatore e coach mi capita di incontrare spesso persone giovani dotate già di un buon livello di intelligenza emotiva e persone di una certa età che sono emozionalmente ottuse. Professionisti che dopo anni di lavoro vanno ancora nel pallone se devono parlare in pubblico, uomini e donne di ogni età che sfogano la propria frustrazione nel cibo o con dipendenze di ogni tipo. Da oltre vent’anni tengo corsi di “Emotional Fitness” e posso garantire che non c’è niente di più diffuso nella nostra società dell’analfabetismo emozionale.

 

EMOZIONI, SENTIMENTI E STATI D’ANIMO

Le emozioni non sono tutte uguali, generalmente si distinguono fra quelle primarie di base – come paura, rabbia, disgusto, gioia e tristezza – e alcune emozioni secondarie. Le emozioni primarie rappresentano reazioni innate con le quali reagiamo agli stimoli e sono presenti fin dalla nascita.

Le emozioni secondarie sono invece reazioni più complesse che compaiono in momenti successivi dello sviluppo, quando siamo psicologicamente più consapevoli. Ogni volta che proviamo un’emozione la nostra energia cambia. In altre parole, l’emozione rappresenta l’energia che necessita di direzione, di movimento, di azione, indipendentemente dalla causa. La causa o lo stimolo non sono assolutamente importanti. Si può trattare di un motivo importante o irrilevante, ma è ciò che facciamo con questa energia che fa la differenza.

E i sentimenti? Non sono forse emozioni anche loro? O sarebbe meglio considerarli simili agli stati d’animo? Un’emozione è una reazione immediata e indipendente dal pensiero. È istintiva.
Provare un sentimento significa invece avere consapevolezza di un determinato stato affettivo.

E gli stati d’animo? Gli stati d’animo non sono delle reazioni immediate a degli stimoli definiti, come le emozioni, ma un umore di fondo con cui ci approcciamo al mondo. In altre parole, sono emozioni che si mantengono nel tempo. Le persone esprimono il proprio stato d’animo con espressioni del tipo: «Oggi sono di buon umore», «Sono stressato», «Sono depresso».

Quando il nostro stato emotivo è positivo ci sentiamo carichi di energia, siamo aperti al mondo e agli altri, compiamo scelte positive, abbiamo anche la forza di affrontare gli imprevisti e di risolvere eventuali problemi. Questo atteggiamento ci porta poi ad attrarre persone ed eventi tendenzialmente altrettanto positivi, innescando quindi un circolo virtuoso.

Quando invece il nostro stato emotivo è negativo la vita si fa davvero dura. Sia chiaro, emozioni quali rabbia, paura, frustrazione e altre emozioni considerate come negative non lo sono in senso assoluto poiché anch’esse assolvono a una funzione positiva. La paura ci preserva dall’esporci al pericolo, la rabbia può darci la spinta per reagire in una situazione difficile…

Il peggio accade quando le emozioni negative prendono il sopravvento e si stabilizzano in stato d’animo, orientando di conseguenza il nostro comportamento spesso anche contro la nostra ragione. Quante volte, in balia della rabbia o della paura, ci capita di dire o fare cose che non avremmo mai detto o fatto se fossimo stati lucidi?

Insomma lo stato d’animo con cui affrontiamo la vita determina, in buona misura, il nostro comportamento e, di conseguenza, i nostri risultati. Pensa, per esempio, a come si comporta una persona che affronta un esame scolastico, un colloquio di lavoro o una riunione con uno stato d’animo di buon umore.

E una di persona di cattivo umore? Le loro parole, il loro tono e linguaggio del corpo sono certamente diversi e, di conseguenza, sarà diversa la percezione che avranno i loro interlocutori. Quindi anche l’esito finale potrà essere molto differente.

La buona notizia è che noi possiamo essere padroni dei nostri stati d’animo.

Possiamo accedere a uno stato d’animo positivo e uscire da uno stato d’animo negativo. Non dobbiamo aspettare di ricevere una buona notizia o di vincere alla lotteria per essere di buon umore. Al tempo stesso, una brutta notizia può suscitare in noi un’emozione negativa ma non dobbiamo necessariamente portarcela dietro per tutta la giornata, correndo il rischio di trasformarla in stato emotivo. In qualsiasi momento possiamo passare costantemente da stati d’animo indesiderati a stati d’animo desiderati in un istante.
Ciò è possibile a patto di essere in grado di governare gli elementi che compongono uno stato d’animo e che sono essenzialmente tre: il nostro corpo, il focus mentale e il linguaggio. Tema centrale del nostro seminario Emotional Fitness.

 

LE 4 DIMENSIONI DELL’INTELLIGENZA EMOTIVA

Negli anni Goleman ha sviluppato le proprie teorie relative all’intelligenza emotiva, riducendo e semplificando le dimensioni a queste 4.

Consapevolezza di sé
Gestione di sé
Consapevolezza degli altri o sociale
Gestione delle relazioni interpersonali

Le prime due sono competenze personali che riguardano la nostra capacità di riconoscere e gestire le nostre emozioni, le altre sono competenze sociali che consistono nella capacità di gestire le relazioni interpersonali.

 

CONSAPEVOLEZZA DI SÉ

Le domande che ci poniamo sono fondamentali, perché orientano il nostro focus e quindi, di riflesso, i nostri risultati. C’è una domanda, tuttavia, che pur essendo importantissima, talvolta trascuriamo di farci. Capita, invece, che a farcela siano più spesso gli altri e che, nonostante ce la sentiamo rivolgere tutti i giorni, non la prendiamo poi così seriamente. Anzi, la sottovalutiamo al punto da rispondere distrattamente, come se non avesse alcuna importanza. La domanda è: “Come stai?”.

La risposta che, quasi come un riflesso condizionato, di solito diamo è: “Bene”, con al massimo qualche piccola variante. Su questa convenzione del linguaggio ci sarebbe molto da dire, ma l’aspetto che m’interessa mettere in luce è che spesso non siamo in grado di dire molto di più di “bene” o “male”, perfino quando la domanda è posta seriamente, cioè nel caso in cui l’ascoltatore sia interessato a conoscere i nostri stati d’animo, non il modo in cui li banalizziamo!

Se questo accade è perché, nella maggior parte dei casi, non conosciamo abbastanza le nostre emozioni da articolare una risposta che ne rifletta le infinite tonalità. Che ne è di tutte le sfumature emozionali con cui viviamo i chiaroscuri dell’esistenza? Di fronte a un uso tanto rudimentale del linguaggio si potrebbe arrivare a pensare che abbiamo perso la capacità di ascoltarci, di fermarci e analizzare i nostri stati interiori, sentire di cosa abbiamo bisogno, che cosa preferiamo. È proprio così? Oppure, più probabilmente, tanti di noi questa capacità non l’hanno mai sviluppata a sufficienza, indotti come sono stati a credere che le emozioni siano un mistero insondabile, qualcosa su cui è inutile interrogarsi tanto?

Le emozioni non sono dentro di noi per sconvolgerci la vita, ma per aiutarci a viverla. Conoscerle meglio, conduce automaticamente a un superiore livello di consapevolezza e permette di “far lavorare in team” la mente e il cuore, eliminando, o quantomeno riducendo, i conflitti interiori, una delle principali cause di riluttanza al cambiamento.

Ricorda, le emozioni non sono ostacoli, ma informazioni. E sono al tuo servizio, non contro di te! Emozioni e razionalità non sono affatto entità in contrapposizione, se impariamo a rispettare le loro aree di intervento, le loro “giurisdizioni”. Al contrario, se accetterai che entrambe abbiano ragioni da esporti e che è opportuno ascoltarle, possono rappresentare alleate che condividono una causa comune: la tua felicità.

Fingere che le emozioni non esistano, o cercare di metterle a tacere, è un comportamento paragonabile a quello dei bambini che si tappano le orecchie per non sentire ciò che non gli piace. Fino a non molti anni fa, le emozioni erano considerate poco più che intralci a un corretto modo di vivere. Era il mondo dei genitori autoritari e delle regole da rispettare in quanto tali, senza cedimenti, tanto in famiglia come sul lavoro.

È quindi possibile che tracce di questo atteggiamento verso le emozioni fossero presenti nel modello educativo che ha contribuito a formarti. Oggi, tuttavia, sei libero di andare oltre. Avere coscienza dei tuoi stati d’animo è importante perché:

Ti consente di comunicarli apertamente ed esprimere la visione ideale che ispira la tua vita.
Ti permette di prenderne le distanze in modo consapevole quando la tua risposta emotiva non è adatta al contesto.
Ti aiuta soprattutto quando provi sensazioni spiacevoli. Anche queste ultime, infatti, sono importanti e non vanno soffocate, ma comprese, perché ci inviano messaggi che meritano di essere interpretati correttamente.

La cosa davvero importante è che instaurare un rapporto sempre migliore con le tue emozioni, osservarle e imparare a riconoscerle ti renderà più sicuro, ti darà più fiducia in te stesso, ti aiuterà a mettere a fuoco il tuo valore e le tue capacità.

 

GESTIONE DI SÉ

Ipotizziamo che tu sia una persona che si arrabbia spesso e “volentieri”, in particolare nel contesto lavorativo. Immaginiamo, per esempio, che tu sia uno di quegli individui che vogliono sentire di avere tutto sotto controllo quando parli con un cliente e gli presenti i tuoi progetti. Sei assolutamente convinto che, in questi casi, gli imprevisti siano nient’altro che il sintomo di una preparazione raffazzonata. Se si verificano è perché qualcuno non ha fatto bene il suo lavoro, in spregio alle tue raccomandazioni, ma soprattutto a te. È per questo che proprio non ti vanno giù.

Infatti, quando tutto sembra andare alla perfezione e, proprio sul più bello, si verifica un inconveniente, la tua reazione automatica è pensare che i tuoi collaboratori se ne freghino di te e della tua professionalità! Allora, ecco che senti montare una collera irrefrenabile, alla quale dai la stura di solito alzando la voce e gesticolando animatamente. In casi estremi dai letteralmente in escandescenze, ovviamente quando il cliente non è presente.

E poi ci sono le altre situazioni, in cui il cliente è lì davanti a te e tu, nonostante tutto, gestisci la situazione con calma. Tiri un bel respiro, ti focalizzi sull’obiettivo e conduci comunque in porto la trattativa. Alla fine, quando esci dagli uffici del cliente, ti rendi conto che tutta la tua rabbia, che per un attimo hai sentito dentro quando ti sei accorto dell’inconveniente, si è dileguata come nebbia allo spuntare del Sole.

Un esempio come questo si può traslare, senza difficoltà, nella vita familiare. Se hai figli, sai perfettamente di cosa parlo, ma ne sei cosciente anche se hai dei genitori o un compagno. Idem con gli amici: quando gestiamo le nostre emozioni, chi abbiamo di fronte non fa alcuna differenza.

Tutte le volte che sei riuscito a deviare il flusso delle emozioni, per impedire che prendessero il sopravvento, hai dimostrato a te stesso di saperne controllare il corso. La gestione delle tue emozioni è una capacità che possiedi naturalmente e che utilizzi per lo più inconsciamente. Il mio obiettivo è indurti a prendere coscienza che puoi farlo in maniera consapevole ogni volta che ne hai bisogno per gestire le tue emozioni depotenzianti.

Per esprimere il fatto che abbiamo vissuto un’emozione forte e improvvisa, nel linguaggio corrente diciamo che essa “ci ha assalito” o “sopraffatto”, termini non casuali che descrivono bene cosa ci succede ed esprimono con chiarezza la nostra debolezza in quel momento. Spesso viviamo le emozioni come qualcosa più forte di noi, lasciamo che ci attacchino facendoci perdere il contatto con la realtà, minando la nostra lucidità.

Gestirle, al contrario, significa assumerci con coscienza la responsabilità di ciò che proviamo, comprendendo che le emozioni, sotto diversi punti di vista, non sono qualcosa che ci succede, ma qualcosa che noi creiamo dentro di noi, focalizzandoci su alcuni aspetti, muovendoci e comunicando come decidiamo di fare e interpretando correttamente la realtà. In questo modo generiamo, incanaliamo e traduciamo in azione le nostre emozioni.

Saper guidare noi stessi e spronarci al raggiungimento dei nostri obiettivi, prendere l’iniziativa e imparare a perseverare nonostante gli ostacoli e le frustrazioni, saper conservare un atteggiamento aperto di fronte a idee e approcci nuovi, tutto questo ha a che fare con il modo in cui ci rapportiamo alle nostre emozioni. Passivi o protagonisti? Vittime o artefici?

Il primo passo è imparare a riconoscere le emozioni e a dare loro un nome. Il secondo passo è prendere atto che possiamo allenarci a gestirle meglio. Ogni cambiamento ci sottopone a stress, ma nel contempo è nostro alleato, perché trasmette al nostro cervello i segnali che gli occorrono per imparare a convivere meglio con l’incertezza.

Gestire le emozioni, anziché esserne gestiti, è la chiave per gettare sulla tua realtà uno sguardo più imparziale, con il quale potrai valutare più serenamente il lato positivo degli eventi, i motivi delle sconfitte e gli insegnamenti che devi trarne, creando così opportunità per il futuro e guardando alle cose con maggiore equilibrio e ottimismo.

Vivere meglio il cambiamento significa in particolare imparare a:

Valutare costi e benefici
Ogni decisione ha conseguenze emotive su noi stessi e sugli altri. Non è solo cosa accadrà, ma come ci farà sentire e come farà sentire le persone intorno a noi. Vivere il cambiamento in modo costruttivo significa impegnarsi ad anticipare costi e benefici emotivi delle nostre decisioni prima che il contraccolpo si manifesti. Allenati a prevedere le conseguenze emotive delle tue scelte, sia positive sia negative, in relazione ai tuoi obiettivi, e il cambiamento diverrà inevitabilmente più facile.

Seguire la propria motivazione
Come abbiamo visto, ognuno di noi ha credenze, fattori motivazionali e valori che costituiscono una spinta o un freno al cambiamento. Conoscerle e imparare ad assecondarle con una buona visione a medio e lungo termine delle loro conseguenze (vedi punto precedente) ti aiuterà ad andare nella direzione dei tuoi risultati più facilmente.

Cercare alternative
Il cambiamento diventa stressante quando non riusciamo a vedere alternative. Ma imparare a vederle è un’abilità che si può sviluppare, esattamente come tutte le altre, quando si assume il corretto atteggiamento mentale. Non ottimismo superficiale, ma la capacità di riconoscere che siamo noi a determinare la nostra vita e che i dilemmi del genere “O così o cosà” sono il frutto di una visione limitata delle cose. Accedendo a un nuovo livello di pensiero, vedremo inevitabilmente nuove, inattese soluzioni.

 

CONSAPEVOLEZZA DEGLI ALTRI

Esaminiamo adesso la dimensione dell’intelligenza emotiva legata al rapporto con le altre persone.

Consapevolezza degli altri significa comprensione del fatto che anche chi sta attorno a noi prova emozioni e sentimenti che ne influenzano la condotta. Possiamo talvolta essere tentati di pensare che le azioni degli altri non abbiano una ragione comprensibile o che siano sbagliate. Ci sono gesti, azioni, eventi che sfidano la nostra disponibilità ad accettare che abbiano un senso, ma la verità è che dietro ogni comportamento c’è una spiegazione e in ogni spiegazione, se fondata, l’aspetto emozionale gioca un ruolo di primo piano.

Gli esseri umani possono raccontare a se stessi di agire esclusivamente in base a valutazioni razionali, e perfino arrivare a crederci, ma le cose stanno in tutt’altro modo. Perché facciamo quello che facciamo? Le emozioni ce lo spiegano molto bene. Se comprendere le nostre è la condizione necessaria per conoscere il nostro mondo interiore, entrare in empatia con gli altri equivale a costruire il ponte che ci porterà nei mondi delle altre persone.

La capacità di mettersi nei panni dell’altro, di percepirne le emozioni e di comprenderne il punto di vista è un’abilità che abbiamo sviluppato nel corso dell’evoluzione. La sua utilità è innegabile. Ci consente di instaurare rapporti costruttivi, coltivare fiducia e sintonia emotiva con persone anche molto diverse da noi, di entrare in contatto con culture differenti, di comunicare con efficacia.

Sarà probabilmente capitato anche a te di aver bisogno di condividere i tuoi stati d’animo con un amico, non necessariamente per ricevere consigli, ma solo perché sentivi la necessità di essere ascoltato e compreso. Eri in cerca, letteralmente, di compassione. Il termine “compassione”, che oggi viene spesso interpretato in un’accezione negativa, vuol dire semplicemente riuscire a provare la sofferenza degli altri, saper sentire le medesime sensazioni di un’altra persona. La compassione è uno degli elementi fondamentali di un’altra risorsa chiave nelle relazioni con il prossimo, l’empatia. Più precisamente è la sua premessa, perché ci motiva ad avvicinarci agli altri per comprenderli e solidarizzare. L’empatia, in ogni caso, non si esaurisce nel provare ciò che provano gli altri, è invece un set di abilità, un insieme di competenze specifiche, che possono essere affinate con la pratica e l’esperienza.

In particolare queste sono:

Entrare nel punto di vista degli altri
Come vede il mondo il nostro interlocutore? Le sue esperienze di vita, il suo retroterra culturale, le sue credenze, i suoi valori, le sue regole personali sono le lenti attraverso le quali decifra la realtà. Ognuno di noi ha una sua visione di ciò che è giusto o sbagliato, piacevole o spiacevole. Occorre riconoscerlo.

Sospendere il giudizio
In secondo luogo, quando abbiamo capito che ognuno ha la sua “mappa del mondo”, ossia la sua visione della realtà, siamo chiamati a non giudicarla. È la sua, va bene così, non siamo qui per cambiarla, ma per capirla.

Comprendere le emozioni degli altri
Che cosa provano gli altri, che emozioni stanno sperimentando? Non è indispensabile che le sentiamo a nostra volta, per quanto questo aiuti senza dubbio a stabilire una connessione più immediata e profonda, ma dobbiamo arrivare a capire quali emozioni siano in gioco, se vogliamo relazionarci meglio con chi è intorno a noi.

Comunicare
L’ultimo passo è manifestare agli altri che riconosciamo la loro condizione e siamo lì per loro. La comunicazione è lo strumento più potente a nostra disposizione per unirci agli altri e creare una connessione potenziante. L’empatia è dunque una qualità straordinariamente importante da migliorare per comprendere a fondo la dinamica di una situazione e vivere una vita più ricca di affetti. Lo è, inoltre, per sviluppare tutte quelle prerogative che, nelle fasi di cambiamento, rappresentano un punto di forza inestimabile: le capacità sociali.

 

GESTIONE DELLE RELAZIONI INTERPERSONALI

Le nostre abilità sociali non sono altro che la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera positiva, piacevole, collaborativa e produttiva, e rappresentano indubbiamente una vera e propria “cartina di tornasole” per capire se un individuo ha un QE sufficientemente elevato oppure no.

Tutti quanti conosciamo persone con le quali “si sta bene” o “si lavora bene”, individui con i quali, in genere, gli altri si rapportano e si relazionano con piacere e riescono a collaborare con facilità. Allo stesso modo, tutti noi conosciamo anche persone con le quali, invece, non si lavora bene e che vengono tendenzialmente evitate perché interagire con loro è difficile, faticoso e tutt’altro che gradevole.

Che caratteristiche hanno i primi e quali invece i secondi? È evidente che una persona in grado di interagire positivamente con gli altri deve avere la capacità di adattarsi a persone diverse, il che implica comprenderle e trovare i giusti modi per relazionarsi con loro, ma anche essere flessibile e gestire se stesso in più modalità, visto che le persone possono essere estremamente differenti tra loro.

Al contrario, la persona con cui la gente lavora male e che tende il più possibile a evitare è in genere estremamente centrata su di sé, poco flessibile e molto poco consapevole dei suoi modi sgradevoli e dell’effetto che generano sugli altri. Insomma, il tipico analfabeta emozionale!

Quindi, per sapersi relazionare ottimamente con gli altri, bisogna possedere le caratteristiche relative alle tre aree precedenti: possiamo infatti gestire rapporti se non siamo sufficientemente consapevoli di noi e degli altri e se non sappiamo gestire noi stessi?

D’altra parte, il cambiamento ci mette alla prova e le prove si superano meglio se possiamo contare su una rete di rapporti di qualità: amici, alleati, partner, compagni di viaggio. Quando l’empatia passa all’azione diventa una forza irresistibile di successo che si manifesta in capacità sociali vincenti.

Quali le abilità da sviluppare relative alla dimensione dell’abilità di rapportarsi con gli altri?

Comunicazione efficace
Capire gli altri, le loro emozioni e motivazioni, ti consente di comunicare efficacemente e stabilire il tipo di connessioni con gli altri che innalza la qualità della vita, anche e soprattutto quando questa sta cambiando.

Gestione dei conflitti
Comprendere gli stati d’animo altrui è l’elemento principale da cui partire per gestire con successo i conflitti, capire le differenze e trovare i punti di contatto per risolvere le divergenze.

Collaborazione
Attraverso un buon livello di competenza nelle capacità sociali potrai creare occasioni di vera collaborazione e cooperazione, costruire e alimentare legami per orientare gli altri verso il raggiungimento di obiettivi comuni.

Valorizzare le differenze
Quando il cambiamento procede per il meglio è perché stiamo valorizzando ciò che di buono c’è nella differenza fra un prima e un dopo. D’altronde, non ti serve a niente circondarti di persone uguali a te in tutto e per tutto, né fare sempre le stesse cose. Varietà è sinonimo di opportunità. Nelle differenze c’è una possibilità di arricchimento “senza uguali”. Le capacità sociali comprendono il saper valorizzare le diversità, cogliendo le opportunità offerte dalle altre persone, riconoscendo e indirizzando un processo di cambiamento e di sviluppo delle potenzialità altrui.

 

CONCLUSIONE

Con questa guida hai raccolto una serie di informazioni chiare su cosa vuol dire “Intelligenza Emotiva” e su come sia fondamentale saperla gestire all’interno delle relazioni.

Ora conosci quali sono le 4 dimensioni dell’intelligenza emotiva, che cos’è il quoziente emotivo (QE) e come si distingue dal quoziente intellettivo (QI). Hai inoltre scoperto chi sono gli analfabeti emozionali e perché è molto importante conoscere la differenza tra emozioni, sentimenti e stati d’animo.

È semplice, basta ora fare i passi giusti per diventare finalmente responsabile del tuo stato emozionale e applicare in maniera efficace l’intelligenza emotiva per diventare Leader di Te stesso.

La qualità della nostra vita dipende, in buona misura, dalla qualità delle emozioni che proviamo.

Stati d’animo positivi ci consentono di esprimere al meglio le nostre potenzialità e di costruire delle relazioni positive con gli altri. Di contro stati d’animo negativi ci succhiano le energie e sequestrano la nostra attenzione riducendo anche le nostre capacità di pensare, di risolvere problemi e affrontare le sfide della vita.

Quando sei pronto, quando senti il desiderio di raggiungere una piena padronanza delle tue emozioni, affrontare le sfide con sicurezza ed esprimere il tuo potenziale al meglio, ti aspetto all’EMOTIONAL FITNESS, un weekend intensivo per imparare a gestire al meglio le proprie emozioni e sviluppare un mindset vincente!

Perché mentre là fuori tutto sembra andare a rotoli…
… tu cosa hai intenzione di fare per riprendere il controllo?

Hai visto i 4 video Gratuiti?

Scopri come gestire i tuoi stati d'animo per raggiungere risultati eccellenti,
insieme al Coach Numero 1 in Italia

Clicca qui per accedere ai video

Seguici sui Social

Per quante persone?

Inserisci il numero delle persone