Nei momenti in cui la vita ci mette di fronte a prove estreme o a sfide impegnative, riusciamo a capire quali siano effettivamente i nostri limiti.

In occasione del Boot Camp – HRD Platinum Program, ho vissuto ancora una volta l’emozione incredibile di lanciarmi da 4.000 metri in caduta libera sul panorama più incredibile del mondo..!!

Dopo aver vissuto alcuni giorni nel deserto – estraniandosi dal mondo per meditare e riprendere contatto con la propria storia personale – volare sopra Dubai è stata un’emozione unica, che tutti i partecipanti del Boot Camp – HRD Platinum Program ricorderanno per tutta la vita!

Ecco per voi il video dell’incredibile esperienza: dalla preparazione, al volo in aereo, fino al lancio sullo Skyline di Dubai.

Adrenalina PURA!

 

https://www.facebook.com/RobertoRePage/videos/2150798975229667/

 

Quanto saremmo più sereni e soddisfatti se riuscissimo ad avere PIÙ RISULTATI ritagliandoci anche MAGGIOR TEMPO LIBERO per noi stessi e per le cose a cui teniamo veramente?

Nel corso di un’intervista, Roberto Re ha parlato della mentalità necessaria per gestire se stessi in questo nuovo mondo “digitale” e frenetico: tutto questo in base ai RISULTATI che vogliamo ottenere e non in base a ciò che SI DEVE FARE!

 

https://www.facebook.com/Difrancoeventi/videos/1276084449265408/UzpfSTEzODM4NDQxODU6MTAyMjEwMDk3MDU1MzczNjI/

La Delfino è un’imprenditrice di successo. Siciliana d’origine, dopo svariate esperienze d’impresa da qualche anno si è inventata un sistema per allontanare i topi senza ucciderli.

Il team di ScappaTopo (così si chiama il suo brand di successo) è composto da imprenditori, studiosi e ricercatori, esperti appassionati al progetto, con l’obiettivo di realizzare repellenti innovativi, non tossici e rispondenti alle nuove normative Europee, per tenere lontani gli animali molesti, senza inquinare o uccidere.

Daniela Bonetti – direttrice nazionale della Roberto Re Leadership School e autrice del libro “Leadership al Femminile” – ha intervistato Carla Delfino per scoprire quali doti di leadership siano state fondamentali per raggiungere il successo.

A poche ore dalla gara di ritorno degli ottavi di finale tra Juventus e Atletico Madrid, vi riproponiamo un articolo scritto da Roberto Re ad agosto del 2018. Nel quale analizza, dal punto di vista del mental coaching, il fenomeno CR7.  

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Mentre la Serie A si avvia a riconquistare la sua leadership di “campionato più seguito al mondo”, analizziamo l’impatto mentale del primo mese di Cristiano Ronaldo nel calcio italiano. Più ancora, facciamo insieme un breve viaggio dietro le quinte della sua mente, attraverso i vari livelli di pensiero, così come concepiti e teorizzati da Robert Dilts, padre della Programmazione Neuro Linguistica.

Nell’identità attuale di CR7 – costruita pezzo dopo pezzo nel corso della sua carriera in Inghilterra e in Spagna – c’è un misto di talento eccezionale e dedizione al lavoro che lo rendono un protagonista assoluto. E contemporaneamente, un esempio per compagni di squadra, avversari e giovani calciatori in cerca di un modello vincente. Nella prima gara contro il Chievo, tutta la squadra bianconera non ha mollato fino all’ultimo secondo (la vittoria è arrivata solo a un minuto dalla fine), seguendo in qualche modo la scia vincente generata dalla mentalità del campione portoghese.

Prima di risalire verso i contorni della sua identità mentale (cosa pensa di essere, come si percepisce) dobbiamo necessariamente iniziare dal gradino più basso: l’Ambiente con la A maiuscola e l’influenza che ha avuto su di lui durante i primi anni di vita. Il contesto in cui è cresciuto, come uomo e come calciatore, lo hanno di certo spinto verso una riscossa sociale. Dall’autobiografia scritta da Dolores Aveiro, madre di Cristiano, emerge un terreno d’infanzia estremamente povero. La donna racconta di aver addirittura pensato di abortire aspettando il quarto figlio, un’altra bocca da sfamare… Per fortuna poi Cristiano è nato ed è diventato chi sappiamo!

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Una famiglia numerosa, dunque, che lo ha protetto e coccolato fino all’età di dodici anni, quando il ragazzo decide di andarsene di casa per trasferirsi a Lisbona e giocare nelle giovanili dello Sporting. Nel corso degli anni, per ricreare quel contesto che risolve i suoi bisogni di sicurezza, CR7 ha ridisegnato intorno a sé una famiglia altrettanto numerosa. Nel 2010 annuncia la nascita del suo primogenito, decidendo di non rivelare il nome della madre e di assumere la custodia esclusiva del bambino. Nel giugno 2017 diventa padre di due gemelli, un maschio e una femmina, nati da madre surrogata, mentre il 12 novembre 2017 nasce l’ultima figlia, Alana Martina, avuta da Georgina Rodriguez, sua compagna dal 2016.

Quando si parla di Ambiente e Identità, anche il battesimo ha una sua importanza. Il nome Cristiano è dovuto alla fede cristiana della madre, mentre il secondo nome, Ronaldo, fu scelto in onore di Ronald Reagan, attore preferito del padre (José Dinis Aveiro, morto nel 2005 in seguito a problemi di alcolismo) e presidente degli Stati Uniti a quell’epoca.

Sempre per tornare a Dilts, nel consolidare la propria identità si attraversa un processo – spesso inconsapevole – dove si risponde ad alcune domande. Nel passaggio da adolescente a uomo, Cristiano ha dovuto chiedersi “Chi sono adesso? Cosa mi piace di ciò che sono adesso? E cosa invece non mi piace di ciò che sono?”. Per poi passare al successivo “Chi non voglio diventare? Chi voglio invece diventare?”.

Il lavoro di Ronaldo per rinforzare l’identità

Visto il terreno di partenza (povertà, visione ristretta, alcolismo del padre) è probabile che il ragazzo, per rinforzare una propria identità, abbia scelto di lavorare mentalmente (e non solo) su alcuni aspetti. Vediamone alcuni.

  • Cristiano si è focalizzato su modelli appartenenti al mondo del calcio. I più ispiranti per lui pare siano stati l’irlandese George Best, il francese Eric Cantona e l’inglese David Beckham. Tre campioni ispirati dal genio creativo, dall’uscire fuori dalla zona di comfort e dal senso estetico dello sport. Seguendo le gesta dei tre, Cristiano ha introiettato alcuni valori come la leadership (tutti e tre sono stati celebrati in campo e venerati da milioni di tifosi a diverse latitudini) e la capacità di sorprendere e stupire, sia gli avversari che il pubblico.
  • Nel passaggio al Manchester United, sotto le grinfie di Sir Alex Ferguson, Ronaldo ha maturato il suo proposito più ambizioso, la sua mission da professionista: voler diventare il miglior calciatore del mondo. Il valore legato alla leadership si rafforza proprio grazie a Ferguson, che ne intuisce le incredibili potenzialità mentali, facendogli rivedere senza sosta decine di videocassette della Juventus di Capello, per imparare cosa significhi “avere sempre fame di vittorie”.
  • Prima di chiudere il cerchio con l’approdo alla Juventus di Massimiliano Allegri, CR7 passa per alcune stagioni al Real Madrid – la scuola di leadership calcistica fra le migliori al mondo – arricchendo così il suo bagaglio tecnico, atletico e mentale. Grazie alla filosofia del lavoro duro e degli allenamenti martellanti, Ronaldo acquisisce doti atletiche fuori dal normale, una fisicità che accompagna e facilita qualunque gesto tecnico. Ricordate i suoi famosi gol in rovesciata?
  • Ma il suo vero talento, affinato alla scuola Real dei galácticos, diventerà quello che gli allenatori di mezzo mondo chiamano “l’istinto mentale del killer”: ovvero quella rapidità intuitiva, quel tempismo di pensiero che scardina le difese e gli fa segnare valanghe di reti. Non si vincono 5 Champions League (1 con Manchester UTD e 4 col Real Madrid), 5 campionati (3 in Premier e 2 in Spagna) e 5 Palloni d’oro se non hai l’istinto mentale del killer.

L’impatto di CR7 con l’Italia

E poi nel 2018, in un giorno qualsiasi di luglio, ecco i media annunciare impazziti la conclusione dell’accordo con la Juve di Agnelli, il suo passaggio ufficiale alla corte bianconera. Qui in chiave mental coaching è interessante osservare l’impatto mediatico, in attesa di registrare quello calcistico con il procedere del campionato.

Lo stile della società juventina lo conosciamo: sobrio, minimale, senza fuochi d’artificio o entusiasmi fuori posto. È pur vero che, facendo un’eccezione alla regola, l’intera città di Torino, solitamente fredda nelle manifestazioni pubbliche di gioia, questa volta ha rotto i confini dell’understatement celebrando la notizia di CR7 con timide esultanze (e frenetici acquisti di magliette bianconere con il numero 7).

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I media da parte loro si sono tuffati a pesce in questa atmosfera che ha rilanciato il campionato di Serie A, specialmente in un’estate rimasta orfana della Nazionale azzurra dopo l’esclusione dai Mondiali di calcio. Via libera dunque a una valanga di curiosità su passato-presente-futuro di CR7, l’uomo-azienda che di colpo fa esplodere il marketing e fa vendere ai giornali migliaia di copie in più.

Se sei un giovane calciatore, e vuoi prendere spunto dal modello-Ronaldo, può essere interessante focalizzarsi su alcuni punti di forza (fisici e mentali). Il Cristiano Ronaldo che abbiamo conosciuto in queste prime settimane di allenamenti juventini porta con sé:

  1. Una determinazione fuori dalla norma, che si trasforma in Ambizione con la A maiuscola. Cristiano ha sviluppato numerose credenze positive su se stesso, sa dove può arrivare ed è sostenuto dai riferimenti concreti (risultati) che hanno costellato finora la sua carriera.
  2. Costanza maniacale soprattutto nell’alimentazione (proteine, pochi grassi, pochi sfizi legati alla cucina portoghese). Ronaldo fa 6 piccoli pasti al giorno, uno a distanza di 3-4 ore dall’altro per mantenere il metabolismo sempre attivo nonché conservare energia sufficiente a ogni allenamento. A essere banditi dalla tavola sono invece i cibi ricchi di zucchero, mentre l’acqua bevuta a litri gli permette di mantenersi sempre idratato. Alcol manco a parlarne (solo qualche calice di vino rosso in occasioni speciali), così come i cibi preconfezionati.
  3. Stacanovismo negli allenamenti (è sempre il primo ad arrivare, l’ultimo ad andare via). L’esercizio fisico, 5 giorni su 7, prevede anche la palestra tra pesi e cardio: quanto basta per fissare al 7% la massa grassa (decisamente inferiore a quella dei colleghi) accanto all’invidiabile 50% di muscoli. Da qualche tempo il portoghese segue i consigli dell’ex velocista olimpionica Samantha Clayton: nient’altro che corsa extra, accompagnata da sessioni di pilates e lunghe nuotate in piscina. All’elenco si aggiungono sedute di crioterapia (immersione in vasche di acqua ghiacciata) e il rispetto maniacale per il riposo (8 ore di sonno).
  4. Gestione efficace della comunicazione. CR7 non è uomo di polemiche o parole di troppo. Potremmo dire l’opposto di Ibrahimović. Ronaldo parla nelle interviste ufficiali, negli eventi di marketing e sui social media, che lo vedono “campione del mondo di follower totali. Tra Instagram, Facebook e Twitter Ronaldo conta 330 milioni di persone (!) che seguono i suoi aggiornamenti. Una cifra che (piove sul bagnato) porta al giocatore bei soldi: ogni suo post social vale circa 500mila euro!

Come scrive la rivista Wired:

“La Juve non ha comprato solo il miglior giocatore al mondo, ha comprato un brand, che le farà guadagnare milioni di euro, porterà il suo merchandise in tutto il mondo, aumenterà la riconoscibilità della squadra e ne innalzerà il valore, portando i ricavi commerciali a competere con le squadre di Premier League e Liga, che incassano molto di più delle squadre italiane”.

I valori come bussola per Cristiano Ronaldo

Eravamo partiti parlando di valori. Noi pensiamo che un campione sportivo del terzo millennio, per restare ai vertici, non possa più solamente basarsi sull’eccellenza tecnica (Maradona e Messi). Cristiano Ronaldo è destinato a diventare sempre più il numero uno in questo sport non solo perché ha edificato un’azienda miliardaria intorno a se stesso. Ciò che lo aiuterà a durare nel tempo è la forza della sua mente, le sue credenze, i valori che sono per lui un solido riferimento.

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Cristiano fuori dal campo partecipa a progetti di solidarietà e fa beneficenza, ma non ne parla, anche quando si tratta di aiutare i bambini di Gaza. Ronaldo ha bisogno intorno a sé di una famiglia che gli ricorda da dove viene e non gli fa mancare il suo affetto, indipendentemente dai luoghi dove lui farà il calciatore. CR7 celebra il suo corpo perché sa che solo attraverso quel mezzo fisico può arrivare continuamente al successo: la scelta di non tatuarsi perché incompatibile con il suo essere donatore di sangue ne è un esempio emblematico.

Arthur Rubinstein, pianista polacco di fama internazionale vissuto fino al 1982, un giorno ha detto: “Non dirmi quanto talento possiedi, dimmi quanto lavori sodo”. Cristiano Ronaldo sarebbe nato solo tre anni dopo la morte del musicista. Ma ha fatto in tempo a sentire l’eco di questa frase. E a farla diventare una credenza potenziante della sua vita da campione.

Roberto Re

Il mondo è pieno di gente AFFACCENDATA, che si fa un “mazzo” grosso come una casa, ma che porta a casa risultati a dir poco miseri!

Ma la persona “affaccendata” è lo “sfigato” dell’era moderna!

La vita dell’affaccendato è perennemente guidata da questa sensazione e da una domanda che rimbalza costantemente nella sua testa: “Sto facendo tanto, certo… Ma per cosa? Per quale scopo? Che senso ha farmi un mazzo così?”

Il salto che dobbiamo fare, se vogliamo essere più produttivi e allo stesso tempo più “liberi”, è passare dalla mentalità del FARE alla mentalità del RISULTATO. Seguimi su questa pagina per approfondire il tema e… ottenere una serie di bonus!

Roberto Re

Consiglieresti ad altri il tuo capo come una persona con cui lavorare? Per approfondire queste tematiche, abbiamo chiesto il parere di Daniela Bonetti, direttrice nazionale della Roberto Re Leadership School ed esperta in formazione e gestione del team.

L’80% delle oltre 600 persone intervistate nella ricerca “Good Boss vs Bad boss” della LIUC Business School (di Castellanza, Varese) risponde – sorprendentemente – di NO..!! Ciò che emerge è che la maggior parte dei manager utilizza modelli di gestione del personale vecchi di almeno 50 anni e non più adatti alle nuove sfide. Il risultato – che conferma i dati di una ricerca Gallup del 2017 – è che oltre l’80% dei collaboratori di aziende nel mondo è disengaged (non coinvolto).

 

Daniela, nel tuo bestseller “Leadership al femminile” (scritto in collaborazione con Francesca Romano e pubblicato da Mondadori nella collana “Libri da leader”) scrivi che un vero leader è una persona che sa gestire al meglio se stesso e le proprie risorse interiori, intese anche come stati d’animo, pensieri e relazioni. Come mai molti manager hanno difficoltà nel farsi seguire dai propri collaboratori?

Una delle caratteristiche fondamentali della leadership è inevitabilmente la gestione delle emozioni. D’altronde lavorando con altre persone, le incomprensioni dal punto di vista comunicativo sono all’ordine del giorno. Molti manager però prendono sul personale i comportamenti e i mancati risultati dei collaboratori, arrivano a sentirsi in colpa se le cose non funzionano. È importante riconoscere eventuali provocazioni o frustrazioni causate dalla mancanza di risultati: se nel dare feedback ai collaboratori non mantieni grande distacco, rischi di entrare nel giudizio e danneggiare il tuo interlocutore dal punto di vista emozionale. Quando un manager entra in questo circolo improduttivo e reagisce alle provocazioni, smette di essere un esempio. Se si arrabbia facilmente – se giudica invece di dare feedback – le persone non lo riconoscono come un leader che può fare la differenza: anzi è visto come un nemico che sta lì a rilevare che non sei all’altezza o non vai bene.

 

Tu sei anche una trainer su temi strategici come la comunicazione e la leadership. Come si fa ad aiutare il management a sviluppare un “employee point of view” per permettere ai collaboratori di lavorare al meglio?

I manager devono imparare a conoscere lo stato d’animo dei propri collaboratori, mettendosi nei panni di chi gli sta di fronte. Un aspirante leader deve essere preparato sulle strategie di comunicazione: comunicare con tutti allo stesso modo non va bene. Occorre focalizzarsi sul cosiddetto “modello del mondo” degli altri, conoscere la mappa del ‘come’ i collaboratori soddisfano i propri bisogni. Chiedersi cosa li motiva, come si può aiutarli a ottenere più risultati. L’ascolto è fondamentale: verbale, ma soprattutto non verbale ed emozionale.

 

Tra i comportamenti che portano a consigliare il proprio capo, il più votato è la capacità di lasciare ai collaboratori un ampio grado di libertà nel modo in cui si conseguono i risultati. È vero che per i millennials, più orientati rispetto alle generazioni precedenti a una gestione autonoma del lavoro, contano i risultati e non le modalità operative?

La maggior parte dei manager pensa che, per ottenere risultati, i collaboratori debbano comportarsi come il loro capo. Ma i risultati arrivano solo se lasciamo esprimere liberamente le persone, con i loro metodi e i loro talenti. Nel mio libro (di prossima pubblicazione) accenno al tema della leadership situazionale di Kenneth Blanchard: un modello che consente di analizzare i bisogni delle persone coinvolte nella situazione in cui ci si trova e di utilizzare lo stile di leadership di volta in volta più consono. Io stessa, applicandolo con le persone del mio team, mi sento più efficace nel gestire via via le diverse situazioni.

 

Un’altra qualità riconosciuta positivamente dai collaboratori è la disponibilità a essere ascoltati per un confronto e ad accogliere le loro opinioni. Qual è la tua esperienza su questo?

In generale, ognuno di noi desidera essere ascoltato e capito. Personalmente faccio il possibile per conoscere i miei collaboratori, anche dal punto di vista personale: la loro storia, chi sono, cos’hanno fatto, quali esperienze di vita hanno avuto. Spesso questo fa la differenza anche nel lavoro e nel ruolo che andranno a ricoprire. Per avere sempre nuovi punti di vista, molte volte condivido un’idea con i collaboratori: un’abitudine produttiva che permette alla tua squadra di sentirsi importante fornendo un contributo. Condividendo la mission invece di sentirsi solo un numero.

 

Grazie alla tecnologia, i più giovani oggi sono favoriti dal riuscire a lavorare da remoto. Cosa pensi dello smart working, della flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro? È utile a conciliare vita e professione o fa perdere in produttività?

Credo fermamente che la tecnologia sia un grande vantaggio per tutti. Utilizzata bene, ti permette di fare riunioni e webinar mettendo insieme persone in tutto il mondo. Puoi fare appuntamenti, usare video e audio per comunicare contemporaneamente con più persone. Oggi i social ti aiutano a conoscere meglio gli altri, sia sotto l’aspetto personale che professionale, anche rispetto alla credibilità e alla reputazione di ciascuno. Applicando i principi della gestione del tempo e della programmazione, si limita la dispersione e si aiuta la realizzazione dei risultati, indipendentemente da dove ti trovi e da come lo fai. Molte aziende concedono maggiore libertà ai propri collaboratori, che possono così lavorare da casa, eliminando gli orari rigidi. I capi hanno capito che sono più importanti le attività che uno svolge, non come le svolgi e da dove.

 

Passando alle note negative, tra i comportamenti che portano a NON consigliare il proprio capo, il più votato è la mancata definizione di ruoli e responsabilità. Come si lavora con un capo che resta vago su ruoli e responsabilità?

È molto complicato lavorare con un capo approssimativo. I collaboratori vanno guidati, devono aver chiaro l’obiettivo da raggiungere e il ruolo ricoperto in termini di competenze. Trovo efficace che i collaboratori sentano la responsabilità dei risultati: questo genera crescita e maturità per affrontare le sfide e abitudine a conoscere i punti di forza e le aree di miglioramento. Senza questo passaggio, un collaboratore può andare in confusione perché non capisce quali siano i suoi compiti e le sue responsabilità. Nel mio nuovo libro spiego un metodo chiamato “cornice d’accordo”, che ha una doppia utilità: fornire linee guida e regole del gioco per lavorare insieme, e insieme portare chiarezza e sicurezza.

 

In questo tuo nuovo libro che uscirà prossimamente, hai approfondito la figura del Team Leader. Perché sarà importante leggerlo?

Come ho già detto prima, l’obiettivo di questo libro è trasferire un metodo che racchiude tutto ciò che ho imparato nel tempo: cosa è meglio fare e cosa invece è preferibile evitare. Lungo il percorso – come accade a tutti – diversi collaboratori hanno preso strade diverse, mentre molti altri li ho guidati e portati a livelli alti. Alcuni pensano che gestire una squadra sia un lavoro duro e difficile. In effetti, è vero. Ma lavorando con l’atteggiamento giusto, le persone del tuo team possono insegnarti tanto. Sono loro ad aiutarti a diventare un grande leader. Anche nei confronti di chi abbiamo “perso” per strada è giusto essere soddisfatti per la loro crescita personale. Siate felici per loro, anche se si trattava di una risorsa valida e importante: siate fieri per aver contribuito alla sua crescita, per essere stati parte del suo successo. In ogni caso, lavorare con le persone è sempre una grande esperienza di crescita: e scrivere questo libro mi ha aiutato a ripercorrere tutti gli aspetti importanti che mi hanno permesso di diventare quell’imprenditrice che oggi sono felice di essere.

 

Alessandro Dattilo

Intervistando Alex Zanardi nel lontano 2006 (guarda il video in fondo a questo post) avevo immediatamente capito di trovarmi di fronte a una persona davvero speciale. Un conto è leggere le storie o sentir parlare di persone che hanno reagito a un incidente o a una grave malattia, un conto è conoscerle dal vivo.

Alex è uno di quegli uomini che, con il loro esempio personale, ispirano ogni giorno milioni di individui a non arrendersi e a dare il meglio di sé, a prescindere dalle circostanze. Ciò che gli è accaduto nel 2001 (l’amputazione delle gambe in seguito all’incidente in Formula Uno) avrebbe distrutto la vita di tantissime persone, certamente di tutte quelle con una mentalità ben diversa dalla sua.

La mia Olimpiade – racconta lui stesso – ho cominciato a vincerla nel letto di ospedale, quando non ho perso tempo a riflettere su ‘perché proprio a me?’. Invece ho cominciato a pensare: con quello che mi è rimasto, cosa posso fare?”.

Proviamo a metterci per un istante nei suoi panni. Un attimo prima, sei un eroe dell’automobilismo osannato dalle folle. Un secondo dopo, sei un individuo in lotta per la vita e con un futuro a dir poco incerto. Eppure, proprio qui, in quella che sembrava l’epilogo di una tragedia, ha avuto inizio la storia straordinaria di un uomo che ha tratto da dentro di sé la forza di convertire in opportunità quello che, indubbiamente, al novantanove per cento di noi appare come un problema insormontabile. Spesso ai corsi dico che basta stare un quarto d’ora a parlare con Alex, per rendersi conto che i nostri problemi di tutti i giorni sono sciocchezze tremende rispetto alle vicende a cui lui stesso è andato incontro!

Eppure lui, dopo giorni di coma, una volta che ha saputo di aver perso entrambe le gambe, invece che piangersi addosso con domande che chiunque si sarebbe fatto (“Che schifo di vita potrà mai essere questa?” o “Cos’ho fatto di male per meritarmi questo?”), ha immediatamente accettato la nuova situazione, focalizzandosi su come risolvere il problema. Fermamente intenzionato a trovare un modo per riprendere a fare tutto ciò che amava, nonostante le circostanze lo vedessero temporaneamente fuori gioco.

Con il tempo, le risposte che si è dato hanno contribuito a modellare la sua nuova quotidianità. Dopo l’incidente, la vita di Alex è ricominciata all’insegna della crescita, del rinnovamento e dell’espansione. Di lì a pochi mesi ha ripreso a camminare con l’ausilio di due protesi, per poi riprendere anche a guidare e tornare, nel 2003, sulla pista di Lausitzring per compiere i tredici giri che l’incidente gli aveva impedito di completare.

Dopo aver vinto negli anni la medaglia d’oro nella cronometro handbike alle Paralimpiadi di Londra 2012 e di Rio de Janeiro del 2016, la notizia di oggi è che Zanardi si è ‘permesso il lusso’ di diventare l’Ironman più veloce del mondo, nella prova più pazzesca e faticosa dello sport: quattro chilometri di nuoto in mare, poi 180 in bicicletta e – come se non bastasse – una maratona (in carrozzina) come gran finale! Ricordo che l’Ironman non è solo una delle più infernali competizioni cui possa partecipare un uomo che ha subito un’amputazione degli arti inferiori, ma una sfida ai limiti del possibile per ogni atleta normodotato. Eppure già nell’ottobre del 2014 Alex aveva partecipato ai mondiali di Triathlon, completando la gara in meno di 10 ore, qualificandosi 273° su 2187 partecipanti.

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Come ho scritto nel mio terzo libro “Cambiare senza paura”, quando Zanardi è stato ospite del più noto anchorman della tv americana, David Letterman, ha mostrato la sua personalità e la sua capacità di mettere le cose nella prospettiva più potenziante. Letterman ha concluso l’intervista pronunciando una frase su cui non potrei essere più d’accordo: “Non hai le gambe, ma di sicuro non sei un handicappato..!!”.

Alex Zanardi è l’esempio perfetto della persona che, consapevole di non poter cambiare gli eventi e la situazione, ha saputo adattare se stesso alla nuova realtà. Ha trasformato il cambiamento, nel suo caso totalmente imposto dal destino, in un progresso. Usando la sua nuova situazione per evolversi, fare di più, diventare di più. Di recente ha spiegato che talvolta si aggrappa alla regola dei 5 secondi. “Quante volte mi è successo di voler mollare. Ti senti sfinito e gli avversari sembrano meno stanchi di te. E allora, per trovare qualcosa dentro, penso: ancora 5 secondi, dai, cosa vuoi che siano. Chiudo gli occhi e spingo, sentendo la fatica e il dolore. Poi li riapro e magari vedo che sono gli avversari ad aver mollato!

Alex questo ancoraggio non lo usa solo in gara. Ci sono momenti simili nella vita, in allenamento, sul lavoro, negli affetti. L’importante è usare il dialogo interno e dirti: sono qui, ci provo. Perché non abbiamo bisogno di superpoteri per avere un grande potere. Lo abbiamo già, è dentro di noi, è sempre stato lì. È il potere di forgiare la nostra realtà.

Roberto Re

Guarda la mia video-intervista del 2006 ad Alex Zanardi

Prenditi qualche minuto e guarda con attenzione questo breve video che racconta con molta intensità cos’è l’Emotional Fitness. Poi continua a leggere le righe qui sotto: ti condurranno a una pagina dove scoprirai informazioni davvero preziose per la tua vita e per la tua crescita personale.

Molto bello, vero, questo nuovo “docu-movie” sull’Emotional Fitness?!?

Ora è arrivato il momento di chiederti che differenza può fare nella tua vita sapersi gestire nei momenti importanti. Quanto vale per ognuno di noi avere delle strategie da applicare sul lavoro e in famiglia, per essere un genitore migliore, un partner migliore, una persona migliore?

La risposta è semplice: essere padrone delle nostre emozioni – in un mondo che ci mette continuamente sotto pressione – fa una differenza enorme.

Quando ce ne rendiamo conto, la qualità della nostra vita inizia a fare il salto che merita, anche molto prima di quanto ci aspettiamo.

Continua qui la tua lettura. Ti aspettiamo per lavorare insieme. Ricordandoti ciò che diceva William Shakespeare:

“La nostra mente può trasformare l’inferno in paradiso e il paradiso in inferno”.

PS – A Bologna dal 7 al 9 dicembre 2018 c’è un appuntamento che può migliorare per sempre la tua vita personale e professionale!

Durante i miei corsi e nella vita professionale di tutti i giorni, molte persone con cui parlo sono curiose di conoscere la mia storia: da dove ho iniziato, cosa mi ha spinto a fare quello che faccio, quali persone e quale mission ho avuto come riferimenti, quali sono state le prime difficoltà incontrate e quali i risultati ottenuti. Ne ho scritto a tratti nei miei libri, specialmente in “Leader di te stesso“, così come ne racconto alcune parti proprio durante i corsi.

Le storie di chi si è “fatto da solo” partendo da zero sono spesso vicende motivanti: ci aiutano a capire come allargare i nostri orizzonti prendendo spunto da chi prima di noi ha messo in campo energie, conoscenze, pianificazione. E soprattutto ha sviluppato nel tempo la capacità di immaginare il proprio successo.

A ognuno capita di attingere alla propria storia personale, talvolta per non ripetere gli stessi errori, altre volte per gratificarsi rispetto a tutti i traguardi superati. Quando Jasmine Laurenti, Voice Artist e speaker motivazionale, mi ha intervistato per il suo interessante “J Talk Show“, ho ripercorso insieme a lei le tappe fondamentali della mia crescita personale: le prime attività svolte, i primi mentori conosciuti, l’incontro decisivo con Anthony Robbins, l’importanza della felicità in ogni momento, il saper guidare con esempio e giudicare dai risultati.

Insomma, ci sono tutti gli elementi per gustarsi questa piacevole intervista. Dura una ventina di minuti, mettiti comodo, sarà divertente (parlo anche di una gaffe clamorosa che quasi non ricordavo più…), ne vale davvero la pena!

Oltre a condividerla sui tuoi profili social, dedica un altro minuto a lasciare un tuo commento qui sotto: sarà mia cura risponderti e magari condividere io stesso la “tua” speciale storia di… inizio carriera!

 

Da Business Journalist e trainer della “Scrittura Efficace”, so perfettamente quanto una comunicazione chiara e sintetica, che non lasci spazio a fraintendimenti, sia uno degli elementi chiave per creare e mantenere nel tempo dei rapporti sani, positivi e duraturi, sia nel mondo professionale che nella vita di tutti i giorni.

Il Ponte della Comunicazione è una full-immersion con Roberto Re sulla comunicazione efficace finalizzata a risolvere i conflitti interpersonali e a creare e mantenere rapporti positivi nella vita e nel lavoro. Dopo il grande successo del tour, che ha toccato ben 20 città italiane per un totale di oltre 12.000 persone viste, Roberto ha deciso di ripetere “Il Ponte della Comunicazione”: si parte da Milano (8 ottobre 2018) per poi approdare a Firenze (9), Bologna (10), Ancona (11), Bari (15), Roma (16), Venezia, (17), Napoli (22), Torino (12 novembre), Cagliari (13), Brescia (14) e Rimini (15).

Un seminario estremamente pratico con strumenti immediatamente applicabili che ti permetteranno di migliorare la qualità della tua comunicazione!

Prima di andare a questa pagina – dove potrai scoprire il menù della serata e i tre bonus compresi nel tagliando d’ingresso – ti consiglio di guardare subito questo video dove Roberto spiega perché il Ponte della Comunicazione è un’opportunità unica per apprendere dal vivo i segreti della comunicazione da un vero… “Master Communicator“!

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