Mi chiedono spesso “Come riesci a fare tutte le cose che fai senza privarti di nulla?”. Ci rifletto un attimo e rispondo: “Semplice, sono ben organizzata e soprattutto sono concentrata su dove voglio arrivare”.
Avere focus in tutte le aree della nostra vita è come essere un atleta che taglia il traguardo e si aggiudica una vittoria. La sensazione di benessere e adrenalina che ti pervade, la soddisfazione e l’orgoglio di te stesso, la percezione di completezza è appagante al massimo! Essere “sempre” focalizzati è difficile se non si è ben allenati: a volte, quando ci si perde, sembra di essere un funambolo sopra una corda sospesa nel vuoto… A ogni minima indecisione, la corda vacilla e l’insicurezza aumenta.
Se invece pensiamo a come raggiungere l’obiettivo, le difficoltà incontrate lungo il percorso non sono poi così insormontabili e sembrano più leggere. Gli impedimenti dipendono da quanto noi ci facciamo influenzare dall’esterno. Quanto più l’intenzione di arrivare all’obiettivo è forte, tanto meno l’esterno viene considerato. Più siamo padroni delle nostre emozioni, tanto più diminuiscono le reazioni causate da avvenimenti esterni.
Quanto siamo focalizzati dipende da noi, da quanto ci crediamo davvero nell’arrivare a quella cosa, dalla modalità in cui siamo determinati, da come vogliamo spingere oltre i nostri limiti, da quanto crediamo in noi stessi, nella nostra riuscita. Essere focalizzati è davvero fondamentale, viceversa perdiamo tempo in attività inutili e non ci godiamo la vita.
Ti chiederai se sono sempre concentrata e focalizzata al massimo? NO, ogni tanto mi perdo… Non sempre riesco a essere focalizzata, ma quando voglio veramente una cosa, allora sì che mi centro e concentro e, puntualmente, ottengo ciò che voglio. Quando sono focalizzata non ho bisogno di sforzarmi per fare qualche passo verso l’obiettivo: tutto ciò che faccio mi viene naturale perché è orientato al risultato. È un qualcosa che brucia dentro, che di notte ti fa svegliare e trovare la soluzione che cercavi. Un’alchimia che accade solo quando il focus è in accordo con cervello, cuore e pancia.
Per questo ti invito a ripercorrere alcuni spunti di cui parliamo spesso nelle nostre Leadership School e Centri FLY.
STATO MENTALE e FOCUS
Tutti noi formuliamo delle affermazioni, ma non sempre ne siamo consapevoli. Quando usiamo l’espressione IO SONO, entriamo subito in uno stato di focalizzazione perché è come se fossimo già in quello specifico stato che si desidera raggiungere. Il potere delle affermazioni è tale che i pensieri possono cambiare la biochimica del nostro cervello, influenzando tutto il corpo. Il cervello registra infatti le affermazioni (io sono) come “vere” e si comporta di conseguenza, producendo nella persona il corrispondente stato d’animo. Le sfide della vita richiedono forza, lucidità mentale e determinazione. Dal momento che l’essere umano è un’entità complessa – composta di corpo, mente e spirito – possiede tutti gli strumenti per riprogrammare la propria mente.
FOCALIZZAZIONE DEL PENSIERO
Esiste un comune denominatore, fondamentale, senza il quale non si può perseguire nessun obiettivo: la focalizzazione del pensiero! Per raggiungere qualunque obiettivo devi saper mantenere la tua concentrazione mentale su quell’obiettivo, a dispetto di qualunque cosa. Se navighi in barca a vela, il vento e le onde possono costringerti a manovrare in continuazione per mantenere la giusta rotta. Potresti essere costretto a cambiare molte volte direzione, a rallentare o anche a fermarti, se il vento è calmo. In ogni momento, però, tutti i tuoi atti e tutti i tuoi pensieri sono focalizzati sull’obiettivo, che è la destinazione, il porto che devi raggiungere. Allo stesso modo, lungo la tua giornata non devi mai perdere di vista il tuo “porto”, il tuo obiettivo. Essere focalizzati significa avere sempre presente “dove siamo” rispetto al nostro obiettivo e non permettere alle distrazioni e alle emozioni di portarci con la mente altrove.
IL NEMICO DELLA FOCALIZZAZIONE
Nemico numero uno della focalizzazione è la distrazione. La nostra mente tende spesso a divagare. Dopo pochi istanti di concentrazione, è attraversata da altri pensieri, a volte estranei e a volte anche opposti a quelli che avevamo fino a un attimo prima. Alla base della distrazione c’è spesso un’emozione. Un pensiero richiama un’emozione che, a sua volta, porta la mente a un altro pensiero e così via. In questo modo ci ritroviamo lontani da dove dovremmo o vorremmo essere. Quando ci accorgiamo che la mente è andata altrove e che ci siamo distratti, riportiamola tranquillamente al suo lavoro, torniamo a focalizzarci sul nostro obiettivo, senza tensioni né rabbia.
IL QUI E ORA
Se ci giudichiamo negativamente, dicendo a noi stessi che non siamo abbastanza bravi da mantenere la concentrazione, creiamo altra tensione e peggioriamo la situazione. Una persona timorosa è una persona la cui mente è proiettata nel futuro, mentre una persona risentita è una persona la cui mente è proiettata nel passato. Di fatto, la mente sarà così occupata a elaborare la paura del futuro e i risentimenti del passato che non troverà sufficiente energia per focalizzarsi su ciò che effettivamente sta accadendo nel “Qui e Ora”. Presenza mentale significa dunque affrontare il presente con il massimo delle potenzialità e con una partecipazione a 360 gradi..!!
Prisca Carletti
HRD Training Group per il suo 25° compleanno ha deciso di festeggiare insieme a te e invitarti al Tour più dirompente e travolgente che Roberto Re abbia mai fatto!
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Avevo tre anni e ancora non dicevo una parola, i miei genitori mi avevano portato da diversi specialisti e la risposta era sempre la stessa: “Vostra figlia sta benissimo ma non sente l’esigenza di comunicare con le parole… comunica con gli occhi e i suoi gesti. Abbiate pazienza e quando si sentirà pronta comincerà a parlare!”.
Negli anni ho recuperato, ma prima di conoscere la formazione non ero un’ottima comunicatrice: ciò che mi ha sempre contraddistinto era il cuore e la passione che ci mettevo nell’affrontare qualunque argomento, sia personale che professionale. Anche quando mi esprimevo su temi semplici, spesso però il cuore e la passione che ci mettevo venivano scambiati per aggressività! Di conseguenza le incomprensioni, i malintesi, i conflitti e i malumori non tardavano a crearsi. La mia frustrazione cresceva sempre di più… Sentivo che non potevo e non volevo mollare: dovevo capire come far arrivare il mio cuore agli altri, invece dell’aggressività.
Se rifletti ascoltando per un attimo i cantanti, ti accorgi subito di chi ci mette il cuore e chi no. Anche fra gli attori: alcuni ci mettono tutta la loro passione interpretando quel ruolo come se fosse la loro vera identità, l’espressione del viso e il tono di voce cambiano. Oltre a cantanti e attori, pensa allo sport: chi vince la gara ha sempre qualcosa in più rispetto a chi non ha vinto; spesso non bastano tecnica e talento, per fare la differenza è necessario attingere al proprio cuore.
Ti ricordi a scuola? C’erano insegnanti che quando facevano lezione ti coinvolgevano, potevi stare lì ad ascoltare per ore… Altri invece che, già dopo pochi minuti, ti spingevano altrove con i tuoi pensieri e non capivi più nulla della lezione. Cos’era dunque a renderli così diversi?
Alcuni di loro ti parlavano con il cuore, erano innamorati della loro materia, erano sinceramente interessati a far sì che tu potessi capire profondamente ciò che stavano spiegando. Non erano in classe solo perché dovevano esserci, ma perché avevano scelto di esserci. Amavano smisuratamente ciò che insegnavano e questo traspariva da tutti i pori, dalla loro espressione del viso, dal colore della loro pelle, da come muovevano le loro mani e si avvicinavano a scrivere sulla lavagna, da come passavano in mezzo ai banchi e ti guardavano negli occhi, o magari presi dalla spiegazione ti toccavano un braccio o ti appoggiavano la mano su una spalla.
Non lo facevano con un obiettivo pratico, alla fine del mese il loro stipendio sarebbe rimasto uguale al precedente. Lo facevano per il gusto di metterci l’anima, il cuore, la passione.
Per anni sono rimasta affascinata da questo dono pensando che fosse il talento di pochi eletti, con gli anni ho cambiato idea. Ho trovato degli strumenti che mi hanno permesso d’imparare a trasformare in “cuore” quell’aggressività di cui ero accusata.
Questo mi ha permesso di comprendere che “parlare con il cuore” non è il dono di pochi eletti ma è un’abilità che possono sviluppare tutte le persone che vogliono vincere con gli altri, tutti quegli individui che hanno veramente a cuore i propri interlocutori.
Parla con il cuore chi ascolta e non giudica, chi mette davanti a se stessi la cosa più giusta e non quella più conveniente. Certo non si può imparare in un giorno, è il frutto di un percorso dove scopri te stesso e capisci veramente cosa vuoi e cosa vuoi dare di te al resto del mondo.
Da bambina a soli tre anni lo sapevo già: le parole possono essere fraintese e giudicate, gli occhi no! Gli antichi greci dicevano che gli occhi sono lo specchio dell’anima e che la nostra anima è la parte più profonda del nostro cuore.
Se vuoi smettere di essere frainteso e desideri far arrivare il tuo messaggio in modo profondo e chiaro, è giunto il momento di iniziare un percorso e approfondire più chiaramente cosa vuoi esprimere di te, al mondo che ti circonda.
Francesca Romano
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“Le faremo sapere”. Classica frase detta da un selezionatore al termine di un colloquio.
“Grazie, la richiamo io”, afferma a volte il potenziale cliente dopo che gli hai spiegato tutti i benefici del tuo prodotto.
Resti ad attendere che il telefono squilli. E speri. Ripercorri nella tua mente come sia andato l’incontro e ti domandi se avrai detto “le cose giuste”. Ricorda: tendenzialmente non esistono “le cose giuste” da dire.
Ovvio che, se sei un venditore/un professionista/un imprenditore è importante che tu faccia dei corsi ad hoc per imparare tecniche specifiche per relazionarti al meglio e per gestire e chiudere le trattative, è importante che tu acquisisca un metodo. Oggi esistono corsi su tutto, per prepararsi ai colloqui di selezione e persino “per diventare re e regine di cuori”. Alcune tecniche sono di certo utili se messe in pratica. Il punto è però che da sole non bastano, e quando incontriamo qualcuno che ne applica pedissequamente una, noi “lo sentiamo”, perché in genere risulta “finto”, freddo, poco empatico.
Al di là di tutto, nella relazione con gli altri, la differenza la facciamo NOI COME PERSONE, la nostra storia, le lezioni che abbiamo imparato dai successi e dai fallimenti, i sentimenti che nutriamo, i sogni e progetti che ci animano, il modo in cui affrontiamo la vita e le sue sfide, la capacità di restare lucidi e centrati nei momenti di stress e di “rialzarci” nei periodi difficili, la fiducia nelle nostre risorse… Noi non siamo il nostro percorso di studi, il lavoro che svolgiamo o quello che sappiamo fare, cioè le nostre abilità: siamo molto di più. Diventare consapevoli della nostra unicità è il primo step. E i percorsi di crescita personale permettono in primis proprio questo.
Il “livello successivo” consiste nel riuscire a comunicare agli altri questa unicità, e questo vale sempre, durante un colloquio di lavoro, davanti ad un potenziale cliente e persino di fronte a qualcuno che ci interessa come partner. Il punto è che la qualità della nostra comunicazione è strettamente connessa alla nostra capacità di gestire le nostre emozioni: pensa a quando sei sereno, tranquillo, rilassato…come comunichi con gli altri? E quando invece sei arrabbiato, infastidito o nervoso? Ti sarà di certo semplice rispondere.
Il candidato che avrebbe tutte le carte in regola per superare il colloquio, ma si fa prendere dall’emozione e “non rende come potrebbe”. Lo studente preparato che all’esame non riesce a gestire l’ansia e “va nel pallone”. Il professionista o l’imprenditore che si sente in difficoltà per una qualche obiezione e si irrigidisce davanti al cliente. L’uomo o la donna che di fronte ad un potenziale partner interessante si blocca e/o non riesce ad essere brillante come al solito…
Sono solo alcuni esempi di quanto un’emozione non gestita possa limitarci nei risultati e nell’espressione di noi stessi. Ecco perché, se non vuoi perderti importanti chance, ma vuoi invece cogliere davvero le opportunità che ti si presentano lungo il percorso, è fondamentale che tu sia consapevole di come funzioni la tua gestione emozionale.
Prima di collaborare attivamente con la Roberto Re Leadership School, ho lavorato per più di 10 anni nel settore della Selezione del Personale: ho incontrato molte centinaia di candidati, sia in colloqui individuali che in prove di gruppo, avendo a che fare con profili diversi, dal neodiplomato/neolaureato, all’impiegato, al venditore, al manager d’azienda ecc.
Non puoi immaginare quanti laureati con ottimi voti o professionisti “certificati” non riuscissero a “vendersi”, cioè a valorizzare il proprio percorso o le proprie competenze, a presentarsi in modo impattante e convincente, a comunicare il valore aggiunto che avrebbero apportato perché bloccati dall’emozione del momento. In situazioni come quelle, ti assicuro, un 110 e lode o un corso in più sul cv non bastano. Oltre che valutarne le abilità tecnico-professionali, lo scopo di una selezione è infatti quello di vedere come, sotto pressione, reagisca la persona.
E poi c’erano quei candidati, quelli che magari non avevano avuto il miglior iter accademico, ma durante gli studi avevano cercato un lavoretto part-time per non gravare tanto sui genitori. Nel tempo libero facevano volontariato o si divertivano a suonare in un gruppo. Appena potevano viaggiavano e nel fare tutto questo avevano sviluppato una notevole flessibilità in grado di far loro cogliere con positività le nuove sfide, oltre che di relazionarsi al meglio all’interno di un team. Questi erano più spontanei, a proprio agio, predisposti a mettersi in gioco con naturalezza.
Vuoi sapere una cosa? In più del 90% dei casi veniva scelta quest’ultima tipologia di candidati, piuttosto che quelli con il curriculum “certificato” o con il 110 e lode.
Come mai? La differenza non la fa il tuo cv, i corsi che hai fatto o il tuo prodotto. Oggi, sempre più, la differenza la fai TU. Le aziende ed il mercato, sempre più competitivo, cercano PERSONE che apportino valore. I clienti “comprano prima la persona”, poi il prodotto/servizio.
Tu che VALORE stai apportando ai contesti in cui ti trovi? E in cosa puoi migliorare da subito per comunicarlo al meglio?
AD MAIORA!
Daniela Ferrante
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Qui sotto invece puoi guardare il video con la presentazione della Roberto Re Leadership School Sicilia!
Da quando ho scritto il libro “Genitori Coach” non passa settimana che qualche genitore con figli adolescenti mi contatti per chiedermi aiuto rispetto alla mancanza di motivazione del ragazzo. Nella richiesta le parole che vengono usate sono legate alla voglia di studiare del figlio o quella di andare a scuola. Il ragazzo viene descritto come un mollaccione indolente piuttosto che come una sorta di fannullone perditempo. Il genitore in questione, in totale buonafede, si aspetta dei suggerimenti che sortiscano l’effetto come di una pillola magica. Cosa posso fare? Cosa devo dirgli?
In passato, quando i genitori di oggi erano i figli di ieri come venivano motivati a loro volta? Fondamentalmente i metodi utilizzati erano due: la violenza e la creazione di sensi di colpa. Non avevi voglia di studiare? Urli, offese, minacce e ricatti andavano per la maggiore. La Leadership del genitore in passato era questa. Se esegui alla prima, sei ok. Altrimenti sarà la forza, l’autorità a domarti.
I genitori che non possedevano questa sorta di potere violento e autoritario utilizzavano la creazione di sensi di colpa come arma motivazionale. E spesso ottenevano il risultato. Molti genitori, che oggi utilizzano questi stessi metodi, hanno meno successo rispetto al passato e quello che ottengono non è utile in nessun caso. Se il figlio si muove dopo le minacce, in futuro avrà sempre bisogno di un capo che lo guidi e non svilupperà abbastanza la propria personalità. Se nonostante le minacce o i sensi di colpa il figlio continua a non voler studiare, la rabbia e il senso di impotenza del genitore aumentano, ottenendo mancanza di lucidità nel poter essere di supporto al figlio.
Vogliamo parlare di come i nostri figli vengono motivati all’interno del sistema scolastico? Negli ultimi 100 anni il mondo si è evoluto incredibilmente. Siamo passati dal telegrafo allo smartphone, dalla carrozza a cavalli ad automobili autoguidate, dalla carta al digitale. La scuola invece non è molto diversa da 100 anni fa. Nella maggior parte delle classi delle scuole medie e superiori ci sono ancora lavagne e gessetti come ai tempi di mio nonno e c’è anche lo stesso banco con la superficie in formica con il buco che serviva per contenere l’inchiostro utile alle penne dei primi del ‘900.
Gli insegnanti non sono gli stessi di 100 anni fa, ma il sistema si! Un sistema basato solo sul giudizio e sulla valutazione degli alunni. Un sistema che è stato creato ai tempi della rivoluzione industriale con lo scopo di preparare i bambini al mondo del lavoro, inteso come esecuzione di ordini. Un sistema basato sul dovere e sull’apprendimento di programmi stabiliti.
Anche gli insegnanti hanno problemi simili a quelli dei genitori riguardo la motivazione. Gli insegnanti del passato “educavano” nella maggior parte dei casi con minacce, violenze e umiliazioni. Io stesso e la maggior parte dei miei compagni di scuola abbiamo ricordi di bacchettate date sulle dita, di urli e offese da parte degli insegnanti di allora. Nessuno ha mai insegnato ai genitori o agli insegnanti come motivare! Quindi cosa può fare un genitore o un insegnante per sopperire alla mancanza di motivazione di un figlio o di uno studente?
Un ottimo modello a cui un genitore può ispirarsi è quello del Coach, dell’allenatore sportivo di successo che abbiamo diviso in cinque passi.
AVER CHIARO L’OBIETTIVO DA FAR RAGGIUNGERE: nella maggior parte dei casi i ragazzi studiano pensando che quello sia il traguardo, invece che un mezzo per raggiungere l’obiettivo finale. Un atleta decide di incominciare ad allenarsi pensando a quale trofeo vorrà vincere o quale traguardo vorrà raggiungere. Un ragazzo demotivato dallo studio probabilmente vive la quotidianità scolastica come un dovere, come un obbligo e non come uno step verso qualcosa di stimolante che lui stesso ha scelto.
CONOSCERE I PUNTI DI FORZA E LE AREE DI MIGLIORAMENTO: spesso i genitori non sono obiettivi nei confronti delle capacità o delle caratteristiche personali di un figlio. È più facile che un genitore si aspetti o speri che il figlio cresca in un determinato modo, mentre un Coach per poter far rendere al meglio l’atleta è fondamentale che conosca oggettivamente i punti forti per poterli ricordare, e le aree deboli per poterle far migliorare.
FARE LEVA: se possiedo un obiettivo da far raggiungere – e sono consapevole dei punti di forza e delle aree di miglioramento di mio figlio – allora posso fare leva. A seconda delle caratteristiche del ragazzo, posso utilizzare come leva il piacere o il dolore. Cosa intendo? Per piacere significa fare in modo che tuo figlio si muova per andare incontro al sogno, al desiderio, creando immagini che lo proiettino nel piacere, nella gioia dell’ottenimento del risultato desiderato. Se invece tuo figlio è motivato dal dolore, dovrai fargli vivere il fallimento, la sconfitta causata dal fatto che non sta facendo quello che serve per il risultato. Chiaramente se ti manca l’obiettivo scelto da tuo figlio, non hai alcuna possibilità di fare leva e motivare.
RICORDARE IL VALORE: quando tuo figlio è fermo, svogliato o demotivato, nella maggior parte delle volte non ricorda più il proprio valore e in questo caso puoi fare la differenza in negativo o in positivo. Lo puoi affossare ulteriormente mortificandolo, aggredendolo, offendendolo o minacciandolo. Oppure puoi ricordargli i successi precedenti, quello che ha già ottenuto e la persona che è veramente. Una persona che stimi!
GRATIFICARE: anche se sei cresciuto in un mondo in cui non venivi gratificato dai risultati che ottenevi (perché veniva ritenuto normale o semplicemente “il tuo dovere”), non commettere lo stesso errore con tuo figlio. Ogni volta che lo merita, non aver riserve nel dirgli “Bravo” e nel lodarlo sia per il risultato che per l’impegno.
Se decidi di diventare l’allenatore, il coach dei tuoi figli (o dei tuoi alunni) permetterai a loro di accedere al massimo delle potenzialità che dispongono e tu sarai uno strumento di crescita e di evoluzione. La stessa mentalità ti servirà anche con collaboratori e partner di vita, a condizione che tu assuma la responsabilità del risultato anziché cercare le colpe.
Sono certo che anche tu fai del tuo meglio con gli strumenti che disponi e questo potrebbe non bastare. Quindi il mio invito è quello di sviluppare 3 competenze che potresti aver trascurato in questi anni.
1 – ATTEGGIAMENTO concentrati di più sul come fai le cose, anziché sul cosa fare. Un genitore o un insegnante impreparato su questo aspetto può compiere danni nel momento esatto in cui potrebbe fare la differenza. Un allenatore di successo riesce nei momenti critici a far accedere a risorse che la squadra o l’atleta non pensavano di avere.
2 – COMUNICAZIONE impara e perfeziona il tuo stile comunicativo e ricorda che la comunicazione è una competenza che non ha niente a che fare con la cultura o la conoscenza. Comunicare non significa spiegare o parlare, ma far comprendere il messaggio e le intenzioni al tuo interlocutore. In questo caso tuo figlio.
3 – LEADERSHIP PERSONALE se non sarai tu a guidare tuo figlio, ci sarà qualcun altro a farlo al posto tuo, magari con intenzioni e obiettivi diversi dai tuoi. Non intendo la tua attitudine al comando, la tua capacità di essere autoritario, ma la tua abilità nell’essere autorevole. E a comprendere le difficoltà di tuo figlio, per esserne infine un prezioso supporto.
Buon lavoro!
Stefano Denna
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Suonano alla porta…
“Che muso che hai? Che ti è successo?”
“Lascia stare è un periodo che le cose proprio non girano”
Conosco Anna da 20 anni e da che ho memoria di lei è sempre stata una di quelle “piene di problemi”! Andavamo all’università insieme e nel tempo, nonostante avessimo preso strade diverse, ci siamo sempre frequentate. In questi anni l’ho vista disperarsi per amori andati male, diventare isterica con i colleghi di lavoro che facevano carriera al suo posto, essere ripresa dai genitori come fosse ancora una bambina, smarrire oggetti che all’apparenza sembravano importantissimi, tornare dalle vacanze con strane allergie, perdere treni e aerei…insomma Bridget Jones a confronto non era nessuno!!!
“Sono proprio una sfigata, e me lo merito di essere così infelice!!!!” e detta questa esplode in un pianto disperato ma anche un po’ liberatorio!!
“Stavolta che cosa è successo?” anche se so già che non è tanto quello che succede, ma come lei vive quello che le succede!
“Ohhhhh…. è che mi va sempre tutto male, che nessuno mi capisce e che tanto ormai può solo andare peggio… che poi peggio di così??? Uffaaaaaa” la sua voce è intervallata da singhiozzi e soffiamenti di naso… un po’ mi fa ridere…
“Ok, però non ho capito che cosa è successo?”
“Non è successo niente, questo è successo… che non succede mai niente di bello!!!” e fa il broncio come una bambina di 5 anni a cui hanno tolto le caramelle.
Secondo te, a una che si parla in questo modo può succedere qualcosa di bello? E poi, se anche le succedesse qualcosa di bello, sarebbe in grado di accorgersene?
“Perché non posso fare una magia e far si che tutto sia come dico io???”
Non so se lo sapete, ma con il termine magia s’indica una tecnica che ha lo scopo di influenzare gli eventi e dominare i fenomeni; per far questo la “magia” può servirsi di gesti, atti e formule verbali….insomma bibidibobidibù per intenderci!
“In realtà la magia l’hai fatta e ha anche funzionato!!! Le cose nella tua vita stanno andando esattamente dove tu gli dici di andare”.
“Cioè?”
“Cioè una che si considera sfigata per definizione ha una serie di sfighe, tu come ti reputi?”
“Sfigata”.
“E hai una serie di sfighe?”
“Sì, tantissime!!!” e riprende a piangere.
Le passo un altro fazzoletto…. “Hai visto che la magia funziona!!!!” la guardo con tenerezza, la sua faccia è perplessa… “Voglio solo dire che se continui a ripeterti che sei una sfigata, che nessuno ti capisce, che capitano tutte a te…. le cose andranno esattamente così… ti sei fatta un incantesimo!” Anna fa una smorfia come avesse avuto un’illuminazione… sta per aprire la bocca e dire qualcosa ma rimane ancora un attimo lì nei suoi pensieri.
“Mi stai dicendo che a furia di dirmi certe cose, le ho fatte diventare vere?”
“Sto dicendo che a furia di dirti “quelle cose” hai creduto fossero la realtà!”
“Davvero?? E ora? Come ne esco?”… intanto metto su il caffè…
“Ricorda una cosa: come hai creato un incantesimo puoi anche scioglierlo. Le parole hanno un enorme potere…. Se ne abusiamo sono in grado di produrre seri danni… Ma se ne fai buon uso, possono trasformare la parola sfigata in figata… Pensa a come cambia la visione togliendo solo la S!”
“Mi stai dicendo che devo mettermi davanti allo specchio a dirmi quanto sono bella e fortunata?”… il suo tono è diventato sarcastico.
“Non ho detto questo, ho detto che hai un potere dentro di te. Puoi continuare a usarlo male, rendendo la tua vita una catastrofe, oppure… puoi decidere di fare qualcosa per essere felice!”
“Ma non so come fare?”
“Tanto anche se ti dico come fare… Tu poi non lo fai!!”
“Giuro che lo faccio!”
“Mmmmhhh non mi convinci, se lo fai lo fai per poco e poi torni a lagnarti che sei una sfigata”.
“Ti dico che lo faccio… Lo faccio davvero!!”
“Ok, fai una prova, per 21 giorni sostituisci le frasi in negativo con affermazioni positive, ti faccio un esempio: non voglio più essere una sfigata – con – mi impegno anche oggi per vivere al mio meglio”.
“21 giorni??? Ma sono tanti!!!”
“Anna sono 40 anni che ti dici che sei sfigata e per 21 giorni non puoi impegnarti a dirti un’altra cosa?”
“E se poi non funziona?”
“Con la sfiga però ha funzionato benissimo non trovi? Comunque se non funziona le cose resteranno così come sono… Quindi che ti cambia? Il punto è che non basta dirsi le cose una sola volta, e farlo ogni tanto: devi abituarti a parlarti in un certo modo. Tra l’altro se qualcuno ti stimolasse e ti stesse un po’ addosso nel farti notare quando ricadi nella lamentela, ti farebbe benissimo!!!”
“Ma io non mi lamento, non è mica colpa mia se tutti ce l’hanno con me e capitano tutte a me!!!”
“Appunto, Annaaaaaaa lo stai facendo di nuovo!”…Anna sgrana gli occhi, abbassa le spalle e alza le mani in segno di resa.
“Ok, ho capito!”… Anna fa un lungo respiro… “potrei provare…”
“Potresti o lo fai? Sappi che questo sarà solo l’inizio… Alla fine il vero cambiamento è come andare in palestra: un solo esercizio non basta per tonificare il muscolo”.
“Ok, lo faccio! Non ho molto da perdere in fondo… Altre cose da fare?”
“Potrei suggerirti una fantastica serata di formazione sulla comunicazione con cui otterresti fin da subito notevoli risultati…. Conosco il trainer del corso, dicono che è molto brava, e per lei non esistono persone sfigate, ma persone in grado di cambiare la loro vita in meglio!” Anna mi guarda speranzosa e mi sorride… io le strizzo l’occhio, le verso il caffè e butto i fazzoletti usati nel cestino!
Cristina Leone
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Gestire una squadra oggi è come giocare a calcio in un negozio di cristalli preziosi… Quando parlo di squadra mi riferisco prevalentemente a gruppi di lavoro, ma lo stesso discorso si può estendere a relazioni di ogni tipo. Chi lavora in team sa che non è facile il confronto né tantomeno trovarsi d’accordo su decisioni, scelte, direzioni.
Chi gestisce il team invece, è colui che ha il ruolo più impegnativo di tutti. È spesso preso di mira per errori commessi, perché da più spazio a uno più che ad un altro, perché le sue strategie a volte sono sbagliate, perché non da le indicazioni nella modalità più desiderabile eppure… Eppure chi gestisce il team, il Leader del caso, è colui che più di tutti (se è un Leader vero) sente la responsabilità sulle sue spalle. Sperimenta modi nuovi per rendere più efficiente il lavoro di tutti.
I tempi che corrono non sono dei più favorevoli per figure di questo tipo. I costanti e continui cambiamenti costringono a ingegnarsi, a trovare nuove soluzioni a problemi che fino a ieri venivano gestiti in un batter d’occhio e per i quali queste stesse soluzioni, oggi, non sono più risolutive. I Leader sono chiamati ad acquisire costantemente nuove competenze tecniche, comunicative e soprattutto emozionali se si è lungimiranti.
Ieri ogni leader di azienda poteva gestire il tutto, anche avvalendosi prevalentemente delle competenze tecniche: tutti erano felici e contenti. Oggi questa convinzione bisogna togliersela dalla testa, non può funzionare. La maggior parte dei problemi nasce proprio da qui: dall’incaponirsi nel mantenere vecchie strategie (che funzionavano e davano grandi risultati ) in un mondo completamente cambiato.
Nel terzo millennio sopravvive chi cavalca il cambiamento. Quando questo concetto entra finalmente in testa, purtroppo rimane spesso a livello superficiale: le persone cominciano sì ad apportare cambiamenti, ma non dove sarebbe più funzionale. Nei casi in cui la necessità più impellente diventa la gestione delle risorse umane, è utile ampliare la visione e… partire da più lontano!
Quando mi ritrovo con imprenditori e/o manager per fare un’analisi della situazione, nella maggior parte dei casi mi si presentano problemi tecnici, di risultati, di perdite. Ma quando chiedo se ne conoscono le cause, sono davvero pochissimi coloro che hanno la consapevolezza di cosa rispondere. Partendo dall’idea che il materiale umano è il bene più prezioso in generale (e di conseguenza anche di un’azienda), allora un Leader, un Imprenditore o un Manager non possono permettersi di non conoscere le leve che muovono ogni singolo elemento del proprio team, quali sono i loro bisogni… Insomma, non può funzionare!
Avere l’abilità comunicativa ed empatica di riconoscere l’attitudine di ogni elemento è la chiave più importante per “muovere” una Squadra. Riconoscere i talenti, le abilità, le debolezze ed essere strumento di evoluzione per loro, in automatico eleva la squadra. La quale, automaticamente eleverà l’azienda, innescando così un circolo virtuoso tale per cui i risultati non possono che risentirne positivamente.
Per fare questo un Leader oggi è chiamato a sviluppare abilità che ieri non erano necessarie e che, oggi, sono diventate priorità:
I più lungimiranti lo hanno capito da un pezzo e hanno investito per cavalcare l’onda del cambiamento e farsi trovare preparati. Molti altri si stanno “svegliando” ora perché la cosa si è fatta abbastanza urgente… Ma per tutti gli altri, rimangono i soliti buoni propositi che si rinnovano di anno in anno.
Peccato però che, per ogni anno che passa, i buoni propositi invece di aumentare si riducono sempre più… Continuare a sognare è rischioso, anche perché la soluzione c’è. Ma a volte si è troppo presuntuosi per rimettersi in discussione e acquisire ciò che serve per poter continuare a realizzare i propri sogni.
Rachele Di Bona
Ti aspetto sabato 4 febbraio a Bari per l’evento:
“Comunicare…io, tu e gli altri… Creare e mantenere relazioni di successo”
>>> Ecco il link per registrarti alla serata 🙂
Come ogni fine o inizio anno, molte persone fanno la lista dei buoni propositi. Sono in pochi invece a fare il resoconto dell’anno passato, per rendersi conto delle promesse mantenute (e non mantenute), di quanto cioè i buoni propositi fatti l’anno prima siano andati in fumo. Prova a pensarci: probabilmente sono anni che anche a te capita di comportarti così, di non riuscire a realizzare diversi obiettivi. E questo capita anche perché non ti sei mai fermato un attimo a pensare.
Se appartieni a questa schiera, ti suggerisco di iniziare a farlo adesso: prenditi un po’ di tempo e ragiona. Chiediti: “Com’è andato il mio 2016? Quali cose ho realizzato e quali mi ero promesso di fare? Che benefici volevo raggiungere? Cos’è cambiato in me quest’anno?”.
Se le risposte non sono molto positive, allora seguimi e facciamo qualche riflessione insieme. Ma soprattutto non perderti il link alla fine di questo articolo.
Perché accade questo? Personalmente non sono tra coloro che, quando una cosa va male e non funziona, deve a tutti i costi capirne il perché. Tanti invece hanno bisogno di una spiegazione al fallimento: solo così riescono a comprendere ciò che serve per cambiare. Da qui parte la raffica di “perché”: perché è successo questo? Perché nonostante l’impegno non sono riuscito a raggiungere i miei obiettivi? Perché anche quest’anno mi ritrovo con gli stessi buoni propositi?
Per soddisfare la tua curiosità, e capire perché le persone non riescono a realizzare i loro buoni propositi, ecco di seguito i 10 motivi che ti impediscono di raggiungere un obiettivo annuale.
Ce n’è un undicesimo: porsi obiettivi troppo facili da realizzare perché di standard basso. Alla fine senti di aver raggiunto tutto, senza però essere soddisfatto di niente.
Dopo aver analizzato questo corposo elenco di buoni motivi che NON ti hanno portato a raggiungere i risultati, cerchiamo di capire invece come si potrebbe fare. Potrei dirti “basta fare l’esatto opposto”: ma le cose non sono così semplici e lineari.
Personalmente ho fiducia nei metodi e nelle strategie, le grandi imprese non si realizzano a caso! Certo il cosiddetto “fattore C” (che tradotto educatamente vuol dire “fortuna”) è sempre ben accetto, ma anche questo accade a coloro che comunque agiscono, persone che si buttano in nuove esperienze, escono dalla zona di comfort, azzardano un po’, conoscono gente nuova, si confrontano il più possibile. Chiediamoci: perché si dice che piove sempre sul bagnato? Perché è una questione di energia: più faccio, più sbaglio, più cresco, più trovo il mio, la mia strada e la mia “fortuna”.
Tornando a metodi e strategie (e messo da parte il fattore “C”) ognuno di noi deve trovare un metodo o crearne uno. Se sei un genio creativo, puoi strutturare dei sistemi, magari differenti da un progetto all’altro, per aiutarti a raggiungere il traguardo. Arriverai così a realizzare ciò che vuoi avendo capito come fare, quando agire e in che modo. A mio avviso, questi sono casi rari: preferisco utilizzare sistemi e metodi già efficacemente applicati da altri.
Uno dei metodi più straordinari che io conosca per garantirsi il più possibile la realizzazione dei propri sogni e obiettivi, è il Best Year Yet, che tradotto significa, “il miglior anno della tua vita”, un metodo americano fondato da Jinny Ditzler.
Prima di scoprire il link in fondo a questo articolo, ecco perché funziona e come funziona:
Alla fine di questo lavoro, ti troverai con una scheda di una pagina con le tue principali linee guida: saranno indicative per ricordarti il modo in cui hai deciso di comportarti, il tuo focus principale, la credenza guida e gli obiettivi mensili che potrai monitorare e controllare per garantirti il risultato.
Abbiamo capito che senza metodo e strategie, farcela da soli diventa difficile. Migliaia di testimonianze ci dicono che tutto ciò funziona. Io stessa ne sono un esempio: ogni anno raggiungo almeno l’80 per cento di quello che mi prefiggo di fare. Ma attenzione, perché il metodo da solo non funziona: occorre applicarlo, metterci disciplina, determinazione quotidiana e mensile. È necessario mettersi in gioco e prendersi la RESPONSABILITÀ (ovvero la “abilita” di “rispondere”) in ogni caso!
Comunque vada, devo trovare un modo, non mollare a metà! Stiamo parlando dei nostri obiettivi, dei sogni, di quello che abbiamo deciso, che ci meritiamo e vogliamo realizzare. Non possiamo abbandonare, possiamo essere noi i responsabili del nostro successo, della nostra qualità di vita e del nostro benessere.
A questo punto ti chiedo: se desideri una guida che ti aiuti a definire e applicare tutto quello di cui abbiamo appena parlato, ti informo che nelle prossime settimane nei nostri centri FLY, a cura dei nostri Direttori, abbiamo organizzato una giornata intera dove tu stesso potrai imparare il metodo Best Year Yet. Se hai capito l’importanza non pensarci due volte, prenota il tuo posto.
Metti da parte tutte le scuse, affidati a un metodo che è testato e funzionale, poi mettiti sotto che si vive una volta sola..!! E il miracolo del miglior anno della tua vita lo puoi fare soltanto tu.
Buon miglior anno di sempre!
Daniela Bonetti
Ecco il link per registrarti alla tappa Best Year Yet della tua città..!!
Sono parecchio sensibile alle storie che raccontano i bambini e questa, del figlio di un amico, mi ha davvero colpita.
“Può capitare che Camminando sulla spiaggia, trovi un Bastoncino e se provi a spezzarlo ti accorgerai che ė molto facile romperlo. Ma se non lo spezzi e cammini ancora un po’ puoi trovare un altro Bastoncino, se provi a spezzare i due insieme ti accorgerai che è un po’ più difficile. Poi camminando e camminando puoi trovare altri Bastoncini e se uniti insieme, tipo tre, sette, dieci Bastoncini, ti accorgerai che ė impossibile spezzarli”.
Una storia che centra in pieno un tema più che attuale: il lavoro in squadra.
PERCHÉ IL LAVORO IN TEAM TI PERMETTE DI RAGGIUNGERE RISULTATI MAGGIORI?
Lavorare in squadra può essere la rovina o la gloria di una persona.
Ovviamente, se non si creano rapporti di stima e fiducia e non si segue uno stile meritocratico, lavorare in team può diventare davvero difficile, oltre che pesante e frustrante.
Questo era doveroso dirlo, ma non è tema di quest’articolo.
Quindi prendendo come esempio un team con le giuste caratteristiche, andiamo a vedere perché lavorare con altre persone ci permette di raggiungere traguardi inimmaginabili.
Sostanzialmente possiamo dividere i motivi in 3 grandi categorie:
1. La forza dell’ambiente
2. Il mantenimento del focus
3. La completezza
LA FORZA DELL’AMBIENTE
Per forza dell’ambiente intendo dire che inevitabilmente quando sto con persone che puntano allo stesso obiettivo, con tenacia, costanza e perseveranza anch’io mi sentirò portato a fare lo stesso (visto che quell’obiettivo è anche il mio!) e sentirò in quanto essere umano (animale sociale) parte di un gruppo, questo mi darà maggior forza e mi permetterà di accedere ad energie che di norma non sfrutto.
IL MANTENIMENTO DEL FOCUS
La squadra ti permette di mantenere il focus, di non perderlo di vista.
Lavorando da solo per il raggiungimento di un determinato obiettivo si rischia, a volte per pigrizia, a volte perché siamo esseri umani, di perderci per strada e di non accorgerci che la strada che stiamo percorrendo magari non ci sta proprio portando dove volevamo.
Lavorando in squadra questo accade raramente, infatti se perdi il focus, ci sarà sempre qualcuno che direttamente (accorgendosi) o indirettamente (magari semplicemente con una domanda senza nemmeno farci apposta) raddrizzerà il tuo cammino verso l’obiettivo comune, e tu a tua volta farai lo stesso con qualcun altro.
LA COMPLETEZZA
Lavorando da solo, visto che sei 1, per quanto bravo tu possa essere non sei onnisciente, quindi avrai dei limiti, sarai bravo in qualcosa, molto bravo in altro e una schiappa in qualcos’altro ancora, stai tranquillo, è normale.
La forza della squadra invece sta proprio qua, nel completarsi l’uno con l’altro.
Fammi sapere che ne pensi commentando qua sotto! 😉
Ti è mai capitato di iniziare la tua giornata lavorativa con la ferma intenzione di portare a termine un determinato compito ma di esserti poi trovata a fine giornata a non averlo neanche iniziato?
Se la tua risposta è sì, probabilmente potresti essere incappato in uno dei nemici principali delle persone che vogliono realizzare i propri obiettivi: la scarsa gestione del tempo.
Non ti preoccupare, non sei un caso isolato, oggi è sempre più difficile riuscire a gestire con efficacia il proprio tempo poiché la vita odierna offre sempre più stimoli e input che distolgono la nostra attenzione da quello che stiamo facendo.
Cinquant’anni fa (ma anche solo venti) non esistevano Facebook e neppure i cellulari. È vero, era molto più difficile raggiungere le informazioni ma in compenso credo che sicuramente fosse molto più semplice mantenere il focus.
Sono cambiate tantissime cose da allora, ma una è sicuramente rimasta uguale: una giornata è, oggi come allora, lunga sempre 24 ore.
Chi non sa districarsi tra i mille impegni, chi non è in grado di rimanere concentrato su quello che sta facendo e chi non riesce a dire di no alle perdite di tempo, è destinato a non raggiungere mai il proprio sogno.
Le persone di successo hanno imparato invece a sfruttare al meglio il tempo che hanno a loro disposizione e ti assicuro che non è diverso da quello degli altri, si tratta sempre di 24 ore o 1.440 minuti o 86.400 secondi al giorno.
Che cosa fanno di tanto speciale costoro che gli altri non fanno? Tre semplicissime azioni:
Per prima cosa, individuano le priorità facendo attenzione a tenere ben separate quelle importanti da quelle urgenti. Le azioni importanti sono quelle che daranno valore alla tua vita, le azioni urgenti sono quelle che impediscono di gestire bene il proprio tempo.
Preparare la presentazione da presentare al cliente per l’appuntamento che avrai fra tre giorni è un’attività importante e urgente. Pianificare la settimana lavorativa è un’attività importante ma non urgente. La prima ovviamente va fatta subito, ma se tu avessi dedicato prima più tempo alla seconda, non saresti arrivato a trovarti nella situazione di affrontare la prima in questo modo.
Quindi inizia anche tu a individuare le tue priorità in modo da diminuire sempre di più le situazioni di urgenza.
Seconda cosa, eliminano le perdite di tempo. Con perdite di tempo intendo tutte le azioni che non danno valore alla propria vita: passare ore davanti alla TV, vagare senza meta in internet, stare chiuso in un bar a bere birra come se non ci fosse un domani.
Non dico che bisogna rinunciare completamente al piacere del relax, ma fai molta attenzione e chiediti: quello che sto facendo è un piacevole passatempo o una mia abitudinaria fuga dalle responsabilità?
Terza e ultima, organizzano la propria giornata in modo da iniziare subito con le attività importanti e non con quelle superflue ed è quello che dovresti fare anche tu.
Capisco che ci sono le notifiche di Facebook da controllare e le email da leggere, ma sono davvero importanti? Forse è meglio dedicarvi meno tempo e in un secondo momento. Stabilisci un orario preciso in cui farlo e poi rimani focalizzato sulle attività principali.
A tal proposito, penso di aver già occupato abbastanza del tuo tempo con questa articolo 🙂
Ti lascio quindi correre a organizzare la tua giornata con i tre consigli che ti ho appena dato.
Fammi sapere se funziona anche per te nei commenti qui sotto.
Io non sono una motivatrice, non lo è nessuno dei coach miei colleghi della Leadership School e soprattutto non lo è Roberto Re, nonostante in molti, compresi giornali e televisioni, erroneamente lo definiscano tale. Nessuno di noi è, né ama definirsi “motivatore”, anzi ti dirò di più, se conosci qualcuno a cui piace forgiarsi di tale appellativo, ti consiglio di starne ben alla larga.
Bel inizio per un articolo che parla di motivazione, non trovi? Ebbene sì, devo ammettere che possa suonare un po’ strano, ma non ti preoccupare che fra poche righe rimedierò svelandoti 3 semplici metodi per trovare la giusta motivazione.
Prima però lascia che giustifichi la mia ultima affermazione. Visti da lontano, potrebbe anche sembrare che un motivatore e un Personal Coach facciano più o meno lo stesso lavoro: incitare e infondere coraggio alle persone in modo da aiutarle a raggiungere i propri obiettivi. Eppure c’è una sottile ma allo stesso tempo importante differenza tra le due figure.
Il motivatore si limita a incoraggiarti quando senti che ti mancano le forze o a incitarti se sei sul punto di arrenderti. Il Personal Coach insegna alle persone come attingere alla propria forza interiore e trovare l’entusiasmo e la convinzione per agire da soli. Il primo ha bisogno che tu diventi dipendente dal suo aiuto, il secondo ti aiuta a trovare la tua libertà.
Una differenza sottile ma importante come ti dicevo. Ovviamente insegnare alle persone come automotivarsi è un percorso più lungo e impegnativo rispetto all’urlare loro in faccia qualche bella frase confezionata che crei un picco di adrenalina momentanea e stimoli spingendo all’azione. Serve anche questo, non c’è dubbio, ma il nostro obiettivo non è semplicemente aiutare le persone a raggiungere la loro meta del momento. Dai nostri corsi devono uscire persone indipendenti che sappiano agire da sole verso il proprio successo ogni volta che decidono di mettersi in gioco.
Questo è il motivo per cui non basta essere motivati ma è necessario migliorare ogni ambito della propria vita. Ciò vuol dire lavorare sulle proprie capacità comunicative, su quelle di gestione delle emozioni e di gestione del tempo. Vuol dire anche migliorare il proprio atteggiamento mentale, la propria capacità di parlare in pubblico e di relazionarsi con gli altri.
E questo è il motivo per cui è nato il Programma FLY, un percorso che passo dopo passo aiuta i partecipanti a potenziare queste e altre abilità nell’arco di un intero anno. La crescita personale è un cammino anche divertente ma sicuramente non è una breve passeggiata, diffida quindi di chi ti promette risultati sorprendenti in poco tempo utilizzando appunto frase da “motivatore-venditore”.
Se hai bisogno di una spinta e se senti la necessità di una carica eccoti qualche suggerimento per trovare l’energia di cui hai bisogno con le tue forze.
Il significato stesso della parola “motivazione” ti suggerisce questa prima azione da compiere.
motivazione: espressione dei motivi che inducono un individuo a compiere o tendere verso una determinata azione.
Hai un progetto o un obiettivo da raggiungere? Allora prendi un foglio e scrivi il tuo “perché“, qual è il vero motivo per cui vuoi raggiungere la tua meta, come mai hai deciso di spendere tutte le tue energie per ottenere quel risultato.
A volte non si riesce a raggiungere un obiettivo perché si è concentrati sugli ostacoli che ci separano dalla meta da dimenticarsi del motivo che ci ha spinto a incamminarci per quella strada.
Se ti focalizzi sul perché hai intrapreso il tuo cammino, ricordandolo e ripetendolo ogni mattina a te stesso, vedrai che troverai l’energia per intraprendere quelle azioni che ti porteranno al successo.
“Non devi partire con l’idea di costruire un muro intero, parti dicendo
– Adesso metto giù questo mattone nella maniera migliore possibile che esista per posarlo –
e fai così ogni singolo giorno.
E prima che te ne accorga avrai il tuo muro.”
Will Smith.
Spesso le persone si demotivano di fronte alla enorme mole di lavoro e di fatica che li attende e che si frappone fra loro e il loro obiettivo.
Se rimani sì focalizzato sulla meta, ma ti concentri sulla singola azione da compiere ogni giorno, cercando di portarla a termine nel modo migliore, vedrai che ti troverai vicino al traguardo senza neanche accorgertene.
È inutile che ce la raccontiamo, raggiungere un traguardo per cui valga la pena impegnarsi richiede tempo ed energie. La gratificazione istantanea è una leggenda che ingolosisce i pigri e le persone che non hanno alcuna voglia di lavorare.
È anche vero però che la gratificazione è una forte fonte di motivazione, per questo è sempre un bene dividere il tuo obiettivo in sotto-obietti e concederti un premio ogni volta che ne raggiungi una tappa intermedia.
Hai superato un esame? Hai diritto a un regalo.
Hai terminato una parte lunga e difficile del tuo lavoro? Domani una giornata di completo relax.
Sei riuscito finalmente a correre per 21 km? È giusto acquistare una maglietta nuova che indosserai alla maratona.
La motivazione non è una dote innata, ma semplicemente una questione di scelte. Qualunque sia il tuo stato d’animo, qualunque siano le condizioni esterne alla tua vita, scegli di agire, sempre, e vedrai che in un modo o nell’altro troverai dentro di te la forza per raggiungere i tuoi obiettivi se davvero ci tieni.