Siamo sempre più categorizzati tra coloro che realizzano i propri sogni e coloro invece che non ce la fanno.
I più a dire il vero si rassegnano a far parte della seconda categoria, suddivisa a sua volta tra quelli che neanche ci provano (e questi li lasciamo stare), quelli che dopo un po’ rinunciano (e anche qui troppa fatica…) e quelli che continuano ad arrancare, provare e riprovare, sbatterci la testa più e più volte senza arrivare mai alla agognata meta.
Allora, lasciamo i vincitori lì sul podio per un attimo e occupiamoci di quest’ultimo ramo della seconda categoria. Le prime due infatti si classificano da sole, la terza invece no.
Qui c’è gente che fa, che ha fame, che ha sogni. Finché ci sono i sogni, si è vivi e per questo si può accedere ancora a tutto il potenziale. Dove sta allora il problema?
Quest’anno nel fare il mio resoconto, come al solito ho fatto una bella lista di sogni e obiettivi realizzati e un’altra con quelli in cui non sono riuscita. A differenza degli anni precedenti, mi sono fatta una semplice domanda: “Rachele, ma tu sei qualificata per realizzare questo sogno?”
Attenzione: non parlo di potenziale perché quello ce l’abbiamo tutti. Parlo di potenziale potenziato, allenato, e consolidato come attitudine. Durante l’analisi, con mio grande piacere, ho constatato che molti punti li ho spuntati; altri (pochi per la verità) sono rimasti fuori. Ma proprio per quei pochi, ho dovuto rispondere alla mia chiara, semplice e inquisitoria domanda con un secco NO..!!
Caspita!
Attenzione, non ho scoperto l’acqua calda, solo mi sono fatta una domanda diversa dalle solite: “Cosa ho imparato? Cosa posso fare?”
Utilissime sempre, ma questa per me è stata più chirurgica, non so se mi spiego… Sappiamo bene che le domande che ci facciamo qualificano la qualità della nostra vita, giusto? Evidentemente questa mi ha fatto fare un salto di paradigma.
Una lezione importante da imparare è quella di FERMARSI! Se per troppo tempo non ottieni ciò che vuoi – nonostante continui ad agire, cambiare strategia, ripianificare, acquisire nuove competenze – allora ti DEVI FERMARE!!!
Quando sei in movimento, sei letteralmente all’interno del processo e questo non ti dà oggettività, non ti dà lucidità. Se vuoi capire meglio e trovare soluzioni efficienti, devi uscire dal processo, distaccarti, guardare le cose dall’esterno, devi scendere dalla macchina, analizzare a ruote ferme.
Da questa prospettiva puoi vedere tutta la macchina nei suoi componenti e da tutte le angolazioni, non solo dal posto del guidatore. Chiaro?
Questo ti permette di individuare prima l’avaria, di capire come intervenire, di farlo e ripartire più veloce di prima. Spesso accade che l’avaria che mi impedisce di realizzare il mio sogno si trovi da tutt’altra parte rispetto a quello che immaginavo: magari sta nel dedicare maggior tempo ai miei figli o alla mia famiglia, nel prendermi maggior cura di me, nel dedicare un po’ di tempo ai miei hobbies, ai miei amici, non solo nell’acquisire maggiori competenze tecniche, professionali, ecc…
In tanti non vogliono scendere da questa benedetta macchina, non vogliono proprio! Inutile dir loro che è urgente farlo: non vogliono sentire ragioni, non possono permetterselo (dicono!), non hanno tempo… Per cosa? Per realizzare con certezza i propri sogni? Mah….
A volte siamo proprio curiosi. Ti sto dicendo che se ti fermi trovi problema e soluzione, e tu mi dici che non hai tempo! NO COMMENT!
Queste persone sono destinate a rimanere nella seconda categoria purtroppo, ma per una loro scelta, questa è la cosa più triste. I vincitori che stanno sul podio ci sono arrivati perché si sono qualificati per realizzare i loro propositi. Come? Facendo quello che ho appena esposto, ovvero ciò che coloro che non stanno sul podio si rifiutano di fare. Curioso vero?
Il più delle volte le persone che ce la fanno continuano a fare quelle cose che quelli che non ce la fanno non sono disposti a fare. E a tutto mi riferisco tranne che a semplici azioni. Il discorso infatti è molto più ampio, riguarda in primis l’amor proprio e il seguire il proprio talento, l’incatenarsi a questo! Perché quando sei “incatenato” a ciò che ti guida, nulla ti devia, nulla ti può distaccare. La soluzione la trovi e, soprattutto, le chiacchiere stanno a zero!
Tu a quale categoria appartieni? E non mi dire “a volte a una e a volte a un’altra”… Perché stare sul podio è un’attitudine!
Rachele Di Bona
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Gestire una squadra oggi è come giocare a calcio in un negozio di cristalli preziosi… Quando parlo di squadra mi riferisco prevalentemente a gruppi di lavoro, ma lo stesso discorso si può estendere a relazioni di ogni tipo. Chi lavora in team sa che non è facile il confronto né tantomeno trovarsi d’accordo su decisioni, scelte, direzioni.
Chi gestisce il team invece, è colui che ha il ruolo più impegnativo di tutti. È spesso preso di mira per errori commessi, perché da più spazio a uno più che ad un altro, perché le sue strategie a volte sono sbagliate, perché non da le indicazioni nella modalità più desiderabile eppure… Eppure chi gestisce il team, il Leader del caso, è colui che più di tutti (se è un Leader vero) sente la responsabilità sulle sue spalle. Sperimenta modi nuovi per rendere più efficiente il lavoro di tutti.
I tempi che corrono non sono dei più favorevoli per figure di questo tipo. I costanti e continui cambiamenti costringono a ingegnarsi, a trovare nuove soluzioni a problemi che fino a ieri venivano gestiti in un batter d’occhio e per i quali queste stesse soluzioni, oggi, non sono più risolutive. I Leader sono chiamati ad acquisire costantemente nuove competenze tecniche, comunicative e soprattutto emozionali se si è lungimiranti.
Ieri ogni leader di azienda poteva gestire il tutto, anche avvalendosi prevalentemente delle competenze tecniche: tutti erano felici e contenti. Oggi questa convinzione bisogna togliersela dalla testa, non può funzionare. La maggior parte dei problemi nasce proprio da qui: dall’incaponirsi nel mantenere vecchie strategie (che funzionavano e davano grandi risultati ) in un mondo completamente cambiato.
Nel terzo millennio sopravvive chi cavalca il cambiamento. Quando questo concetto entra finalmente in testa, purtroppo rimane spesso a livello superficiale: le persone cominciano sì ad apportare cambiamenti, ma non dove sarebbe più funzionale. Nei casi in cui la necessità più impellente diventa la gestione delle risorse umane, è utile ampliare la visione e… partire da più lontano!
Quando mi ritrovo con imprenditori e/o manager per fare un’analisi della situazione, nella maggior parte dei casi mi si presentano problemi tecnici, di risultati, di perdite. Ma quando chiedo se ne conoscono le cause, sono davvero pochissimi coloro che hanno la consapevolezza di cosa rispondere. Partendo dall’idea che il materiale umano è il bene più prezioso in generale (e di conseguenza anche di un’azienda), allora un Leader, un Imprenditore o un Manager non possono permettersi di non conoscere le leve che muovono ogni singolo elemento del proprio team, quali sono i loro bisogni… Insomma, non può funzionare!
Avere l’abilità comunicativa ed empatica di riconoscere l’attitudine di ogni elemento è la chiave più importante per “muovere” una Squadra. Riconoscere i talenti, le abilità, le debolezze ed essere strumento di evoluzione per loro, in automatico eleva la squadra. La quale, automaticamente eleverà l’azienda, innescando così un circolo virtuoso tale per cui i risultati non possono che risentirne positivamente.
Per fare questo un Leader oggi è chiamato a sviluppare abilità che ieri non erano necessarie e che, oggi, sono diventate priorità:
I più lungimiranti lo hanno capito da un pezzo e hanno investito per cavalcare l’onda del cambiamento e farsi trovare preparati. Molti altri si stanno “svegliando” ora perché la cosa si è fatta abbastanza urgente… Ma per tutti gli altri, rimangono i soliti buoni propositi che si rinnovano di anno in anno.
Peccato però che, per ogni anno che passa, i buoni propositi invece di aumentare si riducono sempre più… Continuare a sognare è rischioso, anche perché la soluzione c’è. Ma a volte si è troppo presuntuosi per rimettersi in discussione e acquisire ciò che serve per poter continuare a realizzare i propri sogni.
Rachele Di Bona
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Oggi voglio dedicare la mia attenzione a tutte quelle persone che fino ad oggi non sono riuscita a “convincere” a fare qualcosa di importante per se stessi, e se tu sei uno di quelli che “vorrei”, che “se potessi farei”, che “mi piacerebbe”, beh, allora questo articolo è anche per te.
Ho imparato con il passare degli anni che per ottenere ciò che meriti ( e non ciò che vuoi, che è ben diverso), ti devi fare il cosiddetto “mazzo”, ti devi rimboccare le maniche e sudare e il mio non è un discorso riferito solo al sudore fisico, anzi… Devi avere la forza e il coraggio di sfidarti, di alzare l’asticella, di oltrepassare quelli che ritieni essere i tuoi limiti.
Ho imparato anche che tutti “vorrebbero” realizzare i propri obiettivi, i propri sogni ma che, ahimè, quando si tratta di concretizzare la folla si dilegua.
Durante i miei corsi faccio concretamente provare la differenza tra la “motivazione” e l’atteggiamento”, e le persone capiscono il vero senso del perchè in tanti non realizzano ciò che meritano pur “volendolo”, pur desiderandolo.
La motivazione non è altro che il volere qualcosa, l’ “io voglio questo o quello…” e per ottenerlo ovviamente mi focalizzo su ciò che DEVO FARE.
L’atteggiamento è “IO SONO QUESTO O QUELLO…” per cui il mio focus ricade sull’ESSERE, senza fronzoli intorno, solo sull’ESSERE… e se io sono in automatico mi muovo, agisco e ottengo.
…e come si fa a trasformare la motivazione in atteggiamento?
Bella domanda… sicuro di volere la risposta?
L’unico modo per attuare questa trasformazione è lavorare su di te, l’unico modo è CRESCERE ed EVOLVERTI sul piano personale, questa è la garanzia per raggiungere i risultati che meriti.
A tutti quelli che hanno fatto del “condizionale” uno stile di vita dico: quando deciderete di lasciare ogni “condizione” a vantaggio della dignità personale, beh, noi siamo qui, pronti a darvi tutti gli strumenti necessari per tirare fuori CHI SIETE VERAMENTE.
…a tutti gli altri che rimarranno nel “condizionale”… IN BOCCA AL LUPO!
Se ci fai caso si tende spesso a mostrare solo la parte che più piace di sè per “paura di essere giudicati”.
Poche sono le persone che si mostrano per quello che sono nella loro interezza, con pregi e difetti, fregandosene di ciò che gli “altri” possano pensare.
Anche qui bisogna stare attenti perchè dietro questo atteggiamento ci possono essere due intenti molto diversi: il primo è quello della strafottenza vera e propria, quell’atteggiamento dell’io sò io e voi non contate nulla, che diciamoci la verità, non è proprio ecologico nè tantomeno sistemico; il secondo invece ha dietro un intento di trasparenza ed autenticità tale per cui mostra la sua vulnerabilità non per strafottenza, semplicemente perchè non si giudica e quindi non teme il giudizio altrui.
Attenzione che la chiave sta proprio in questo: quando si ha paura del giudizio è perchè i primi a puntare il dito contro se stessi siamo noi, per cui se vuoi davvero liberarti da questo grande limite il lavoro da fare non è sugli altri ma su di te, sulla piena accettazione di chi sei, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, tendendo costrantemente al miglioramento.
Don Miguel Ruiz dice:
“Impara a vedere gli altri come sono realmente. Se vedi gli altri come sono realmente, senza prendere nulla sul personale, niente di ciò che dicono o fanno ti potrà ferire, anche se mentono, va bene così, stanno mentendo perché hanno paura che tu scopra che non sono perfetti.”
Io aggiungo: “Impara a “vedere” te stesso per come sei realmente; se “vedi” te stesso per come sei realmente, senza giudicarti, niente di ciò che vedi o che fai potrà ferirti, perchè saprai di essere PERFETTO così come sei.”
L’accettazione è la madre della Felicità…
Si chiamava Mrs. Thompson. In piedi davanti alla sua classe del quinto anno il primo giorno di scuola, disse una bugia ai bambini. Come la maggior parte degli insegnanti, guardò gli studenti e disse loro di amarli tutti alla stessa maniera. Ad ogni modo, quanto aveva appena affermato non era possibile, perché in prima fila, tutto scomposto nel banco, era seduto un ragazzetto di nome Teddy Stoddard. Mrs. Thompson aveva osservato Teddy l’anno precedente e aveva notato che non andava d’accordo con gli altri bambini, che i suoi vestiti erano disordinati, sporchi, e che aveva costantemente bisogno di un bagno. Inoltre, Teddy era svogliato e indisciplinato. Il suo comportamento era così esasperante che a volte Mrs. Thompson era tentata di punire il bambino con dei pessimi voti.
In quella scuola era previsto che gli insegnanti rivedessero per ogni alunno le schede relative agli anni precedenti. Mrs. Thompson rimandava di giorno in giorno la lettura di quella di Teddy. Quando finalmente aprì il file, ne fu sorpresa. L’insegnante di Teddy del primo anno aveva scritto: “Teddy è un bambino brillante con la risata pronta. Lavora in maniera precisa e ha buone maniere… è un piacere stare con lui.” L’insegnante del secondo anno: “Teddy è uno studente eccellente, amato dai suoi compagni, ma è tormentato perché sua madre ha una malattia terminale e la vita a casa sua deve essere un inferno.”L’insegnante del terzo anno: “La morte di sua madre è stato un duro colpo per lui. Cerca di fare del suo meglio, ma suo padre non dimostra molto interesse e la sua vita familiare inciderà negativamente su di lui se non si prendono provvedimenti.” L’insegnante del quarto anno: “Teddy è scostante e non mostra grande interesse per la scuola. Non ha molti amici e qualche volta dorme in classe.”
Da quel momento, Mrs. Thompson si rese conto del problema e si vergognò. Si sentì anche peggio quando gli studenti le portarono i regali di Natale, tutti avvolti in bellissimi nastri e carte lucide, eccetto quello di Teddy. Il suo regalo era maldestramente avvolto in una pesante carta marrone che aveva ricavato da una busta della drogheria. Per Mrs. Thompson fu penoso aprirlo in mezzo agli altri regali. Alcuni bambini cominciarono a ridere quando l’insegnante trovò un braccialetto di cristallo di rocca con alcune pietre mancanti, e una bottiglia piena di profumo solo per un quarto. I bambini smisero di ridere quando lei esclamò quanto fosse bello il braccialetto, lo indossò e si picchiettò un po’ di profumo sul polso. Teddy Stoddard, quel giorno, rimase un po’ di tempo in più dopo l’orario di lezione solo per dire “Mrs. Thompson, oggi avete il profumo che portava mia mamma.”
Quando i bambini furono andati via, Mrs. Thompson rimase sola a piangere per almeno un’ora. Da quel preciso giorno smise di insegnare come leggere, come scrivere e come far di conto. Cominciò, invece, ad insegnare ai bambini. Mrs. Thompson faceva molta attenzione a Teddy. Quando lavorava con lui, la mente del bambino sembrava ravvivarsi. Più lo incoraggiava, più era pronto nelle risposte. Alla fine dell’anno, Teddy era diventato uno dei bambini più brillanti della classe e, sebbene Mrs. Thompson avesse detto all’inizio dell’anno di amare tutti i suoi alunni allo stesso modo, Teddy era diventato uno dei suoi “preferiti”. Un anno dopo, Mrs. Thompson trovò un messaggio sotto la porta da parte di Teddy, che diceva che lei era ancora la migliore insegnante che il ragazzo avesse mai avuto in tutta la vita. Trascorsero sei anni prima che ricevesse un altro messaggio da Teddy. Diceva che aveva finito la scuola superiore, che era il terzo della classe e che ancora la considerava la sua migliore insegnante.
Quattro anni dopo, Mrs. Thompson ricevette dal ragazzo un’altra lettera, in cui le raccontava che, sebbene le cose a volte fossero state dure, aveva continuato a studiare, vi si era dedicato anima e corpo e presto si sarebbe laureato al college con la lode. Inoltre, assicurava a Mrs. Thompson che era ancora lei l’insegnante migliore di tutta la sua vita… Passarono altri quattro anni e arrivò un’altra lettera. Stavolta Teddy spiegava che, dopo essersi laureato, aveva deciso di proseguire ancora gli studi. Nella lettera ribadiva che considerava ancora Mrs. Thompson la sua migliore insegnante. Adesso il suo nome era un po’ più lungo, la lettera era firmata Theodore F. Stoddard, medico. La storia non finisce qui. Ci fu ancora un’altra lettera quella primavera. Teddy raccontava di aver incontrato una ragazza e di avere intenzione di sposarsi. Spiegava che suo padre era morto un paio d’anni prima e si chiedeva se Mrs. Thompson avrebbe acconsentito a sedere, al suo matrimonio, al posto solitamente riservato alla madre dello sposo.
Naturalmente, Mrs. Thompson accettò. In più, indovinate cosa fece? Indossò il braccialetto, quello con le pietre mancanti. Inoltre, si premurò di indossare il profumo che la madre di Teddy aveva indossato l’ultimo Natale che avevano trascorso insieme, come ricordava Teddy. Si abbracciarono e il Dr. Stoddard sussurrò all’orecchio di Mrs. Thompson: “Grazie, Mrs. Thompson, per aver creduto in me. Grazie mille per avermi fatto sentire importante e per avermi mostrato che potevo fare la differenza.” Mrs. Thompson, con le lacrime agli occhi, gli sussurrò: “Teddy, ti sbagli. Sei tu che hai insegnato a me che potevo fare la differenza. Non sapevo insegnare fino a quando non ti ho incontrato.”
(Tratto da “Il manuale del coach” di Robert Dilts)
Quest’anno comincia all’insegna del ” fuori dagli schemi” per eccellenza.
Chi mi segue sa cosa faccio e, gran parte sa anche come lo faccio.
Al contrario di sempre comincio a differenziare anche io.
Prima credevo che a tutti andasse data la possibilità di evolversi, sbagliand, perchè c’è una categoria a cui non è proprio giusto dare questa opportunità.
Questo articolo lo dedico a tutti quelli che sentono di aver voglia di migliorare o di dare una svolta o semplicemente di vivere la vita che vivrebbero se non dovessero dare conto a nessuno e continuano imperterriti a non muovere un dito per trasformare quel benedetto “voglio” in “finalmente lo faccio”.
Beh mi dispiace dirlo ma lo dico lo stesso: per voi non c’è posto da questa parte, questa è la parte di chi sa che “può” altro, tanto altro rispetto a ciò che ha potuto e fatto fino ad ora; questa è la parte di chi si rimbocca le maniche per sporcarsi non solo le mani ma anche i gomiti se necessario per andarsi a prendere ciò che ad ognuno tocca di diritto ma che, ahimè, solo in pochi hanno il fegato di andarsi a prendere, e non parlo di felicità, di gioia, di gratitudine, no, perchè a tanti al solo suono di queste parole viene l’orticaria, parlo in termini di dignità, gradite di più questo termine? Quella dignità che ognuno, se cerca bene, ha dentro di sé e in nome della quale si vincono anche le paure più profonde, grazie alla quale si va al di là delle convenzioni, di ciò che gli altri si aspettano da noi, al di là di tutto ciò che ci allontana dalla vera natura di “esseri liberi di essere se stessi”.
Io sono qui non per tutti coloro che solo “vogliono” stare da questa parte ma sono qui per tutti coloro che sono disposti anche a rimboccarsi le maniche se necessario per esserci; per tutti coloro che sono disposti ad aprire il sipario ed interpretare finalmente il copione di nessun altro se non quello della propria vita.
Dignitosa vita!
Rachele